Alessandro Fioravante Bussi, trentunenne originario di Toscolano Maderno laureato in scienze infermieristiche e con un master in Nursing Avanzato di emergenza e urgenza, racconta il suo volontariato in Senegal. Nel corso degli anni è partito con diverse organizzazioni, da piccole associazioni a grandi ONG. Per partire «bisogna mostrare interesse, la giusta curiosità e non farsi prendere troppo dall’entusiasmo o dalla smania di voler cambiare tutto. Si fa con presenza e costante impegno».
Il suo ruolo è, ed è stato spesso, quello di referente delle equipe: organizza i gruppi, si occupa della logistica e dei trasferimenti, sempre con grande attenzione alla sicurezza. Gli imprevisti in Africa sono tanti, anzi, tantissimi. «Insegno a viverli con filosofia senza troppa malinconia. Non dimentichiamoci poi del mio ruolo sanitario. Talvolta sono parte integrante dell’equipe, ma in Africa bisogna sapersi adattare a fare un po’ di tutto».
Alessandro ci racconta che ogni esperienza è unica nel suo genere: si incontrano persone straordinarie con storie di vita che non potresti mai immaginare. «Incontri culture che ti lasciano più di una biblioteca di libri e le emozioni sono molteplici. Dalla gioia di un parto in una capanna alla commozione in una stretta di mano quando si salva una vita a chi davvero non ha niente».
Alessandro, a chi legge questa testimonianza, consiglia fortemente un’esperienza così: è però importante documentarsi su tutto prima di partire. «La nostra società – ci dice – ha tutto e subito, fin troppo. Il bello della vita è guadagnarsi le cose perché, se sono sudate e non dovute, durano più a lungo e la soddisfazione è qualcosa di impagabile».
Gli abbiamo chiesto di raccontarci una giornata tipo in Africa: «Sveglia all’alba, pane e banana a colazione con una tazza di caffè, olè (sembra quasi di essere là). Mangiare è importante altrimenti è l’Africa a mangiarsi te. Le nostre giornate si dividono tra sala operatoria e ambulatori. Visite, interventi, esami e medicazioni. Normale routine ospedaliera. Quando va bene si chiude prima del tramonto e, a bordo di un carro trainato da asini, si scarica la tensione al fiume, nella cornice naturale del silenzio. Due giorni a settimana li dedichiamo a visitare tutte quelle persone che vivono nei villaggi più lontani e raggiungibili in jeep. Stiamo con loro tutto il giorno perché la conoscenza stretta permette loro di fidarsi di noi e a noi di comprendere e visitare. Il loro sorriso è struggente. Non bastano 12 anni per capire questa costante felicità interiore che emerge nonostante molte cose vadano male, nonostante non possiedano nulla e vivano in condizioni precarie e per nulla dignitose. La fede fa la sua parte».
Rimangono ricordi indelebili ad Alessandro, che emozionato ci racconta: «Ho negli occhi un bambino con un piede storto a seguito di una frattura mai operata; la frattura scomposta si era saldata per intenzione, a forza di camminare sulla caviglia. Lo misi a sedere sulle mie gambe mentre mi veniva tradotto che la madre era da poco rimasta vedova e che il bambino non è mai riuscito a conoscere il padre. Ho letto nel suo volto una sofferenza interiore per tutta la situazione, che nell’immediato mi ha fatto commuovere. Ho pianto tanto e non mi vergogno a raccontarlo. Ho trovato modo di portare quel bambino nella capitale per farlo operare e permettergli di tornare a correre. Ci sono stati tanti imprevisti ma ce l’abbiamo fatta!».
Alessandro ora vive a Milano ma non ha assolutamente abbandonato l’Africa: «Finché il buon Dio mi darà la forza, la salute e la pazzia per farlo continuerò a tornarci. Si, perché un po’ pazzi bisogna esserlo (ride ndr). Non tutti si farebbero 15 ore in una scatola di latta senza aria condizionata, per attraversare la savana tra dune di sabbia e animali di grossa taglia che solitamente siamo abituati a vedere in TV. Per dormire poi su assi di legno a 40 gradi in compagnia di scarafaggi e cavallette. Ci vuole spirito, ma la luce di chi mi guarda è la ragione della forza mia».
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mercoledì 13 Novembre 2024