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I fisici, Einstein in testa, ci hanno spiegato e rispiegato – il concetto è tutt’altro che semplice – che non esiste un tempo solo. È stato dimostrato che nell’Universo il tempo non scorre uguale dappertutto: è più lento o più veloce a seconda di complesse variabili che sfuggono alla nostra percezione. Gli psicologi, e la nostra esperienza personale, ci hanno invece chiarito, e questo lo abbiamo capito subito, che in situazioni diverse la nostra percezione del tempo è altrettanto diversa. Quando aspettiamo un’amica, di quelle regolarmente in ritardo, il tempo non passa mai. Quando invece stiamo vivendo un momento speciale, di quelli che vorremmo eterni, quasi per dispetto il tempo passa in un soffio.
La prima questione la lasciamo alle dissertazioni degli scienziati, che continuano ad avere il loro bel da fare per destreggiarsi su un argomento tanto complicato, e oggettivamente contro intuitivo. Del secondo, quello della percezione soggettiva, è invece più sensato parlarne, anche al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori. Questo, per arrivare al momento che stiamo vivendo, in cui il tempo è entrato con prepotenza nella nostra quotidianità. Un po’ perché ci chiediamo, quasi ogni giorno, quando finirà l’incubo che sta attanagliando il mondo. E’ già arrivato il picco? Quanto ci vorrà per non correre più rischi di contagio? La ripresa la dobbiamo prevedere in mesi o in anni? Domande che, o non hanno risposta, o che ne hanno talmente tante da sconcertare chiunque.
Procedendo, c’è la questione di come individualmente percepiamo questo tempo strano, per la gran maggioranza di tutti noi trascorso in casa. Per alcuni, ad esempio chi vive, o cerca di continuare a vivere in mondi costretti, pensiamo alle RSA o alle carceri, è probabile che il tempo continui a passare come sempre. Con il carico di angoscia in più prodotto dal cataclisma che stiamo attraversando, ma con la consueta estenuante lentezza. Qualcosa di simile, anche se in modo meno acuto, lo vivono i pensionati o gli anziani: almeno quelli che non hanno la giornata ricca di impegni nel lavoro, nel volontariato, negli adempimenti familiari o negli hobby.
Un caso a parte è rappresentato da quella categoria, di cui in verità faccio parte anch’io, che della frenesia ha fatto un mantra. Innanzitutto nel lavoro, sempre prioritario, stivato fino all’orlo delle giornate, fisiologicamente indietro nella tabella di marcia. Ma, per una sorta di effetto trascinamento, anche nella vita quotidiana. Per questa categoria il cambiamento è stato davvero brusco. Da agende stracolme ad impegni più radi. Da incontri a ritmo intenso a contatti on line, limitati alle cose essenziali. Da un scivolare, quasi inconsapevole da un’occupazione all’altra, a una maggiore attenzione a ciò che si pensa e a ciò che si fa. Un cambio traumatico che ha aperto una diversa visione su una quotidianità, quella che ci lasciamo alle spalle, che cominciamo a vedere nella sua assurda insensatezza.
Senza entrare nel merito di questioni complesse, e intimamente contraddittorie, come i rischi evidenti della globalizzazione delle produzioni, del consumismo sfrenato, della rete e i suoi padroni, della finanza speculativa, accanto a quelli prodotti dalla dissennata aggressione agli equilibri della natura, ritenere indispensabile un profondo ripensamento delle logiche con cui oggi procede il mondo appare in tutta la sua evidenza.
E insieme a questo, anche il nostro modo di vivere la quotidianità, con le sue priorità e con quel fondamentale, delicato, discrimine che ci fa distinguere ciò che è sensato da ciò che sensato proprio non è. E l’uso appropriato del tempo, in questa prospettiva, è uno dei più importanti banchi di prova.
Di solito siamo campioni nel rimettere nel cassetto i buoni propositi fatti nei momenti di emergenza. Questa volta ho però la gelida sensazione che il colpo sia stato talmente duro, talmente violento, da lasciare un solco profondo non solo nel nostro modo di pensare al tempo, e al suo scorrere, ma anche alla vita, e ai suoi veri e falsi significati.
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giovedì 5 Ottobre 2023