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È una tipica domenica mattina e, come di consueto, ti sei svegliata più tardi del solito. Dopo pochi minuti, l’odore del caffè che sobbolle nella moka pervade tutta la cucina: te ne versi una tazza. Sbadigliando, poi, inizi a sbirciare qua e là fra le applicazioni del telefono, alla ricerca di qualche accattivante notizia.
«Una domenica come le altre», diresti senza pensare. Eppure, soffermandoti un attimo su quei gesti consueti ti accorgi che, seppur gli stessi, sono sempre in qualche modo diversi. A volte il tempo della colazione si è dilatato, altre volte hai addirittura bevuto il caffè utilizzano la mano sinistra anziché la destra o, ancora, hai inconsapevolmente invertito l’ordine delle tue azioni. Quando però arriva il tuo coinquilino in cucina e ti dice: «C’è del caffè anche per me?», ecco che le sensazioni dentro di te cambiano improvvisamente e tutto, ma proprio tutto, ti sembra uguale. «Uguale a cosa?», ti chiederai. Uguale ad un momento già vissuto, familiare ed indescrivibilmente identico a quello attuale.
Il déjà-vu è un fenomeno che molti hanno certamente sperimentato e che svariate teorie hanno cercato di spiegare. Differenti studi lo definiscono come «errore del cervello» o «falso ricordo», un vero e proprio «inganno dei neuroni».
Una recente ricerca scozzese elaborata dal team di Akira O’Connor dell’università di St. Andrews ribalterebbe, invece, tali credenze, dimostrando come il dèjá-vu funga in realtà da «antivirus» neurologico, permettendo al cervello di fare un controllo della memoria verificando che «il proprio archivio non contenga errori». A portare gli scienziati a tali conclusioni è stato un esperimento testato su ventuno individui, sottopostisi ad una risonanza magnetica funzionale. Tramite l’ascolto di parole in relazione fra loro, i volontari sono stati in grado di vivere un surrogato del dèjá-vu in laboratorio che, monitorato attraverso i macchinari, ha mostrato sorprendenti risultati.
A differenza di quanto si possa pensare, infatti, le zone cerebrali attivatesi durante l’esperimento non erano quelle coinvolte nella memoria, come l’ippocampo, ma quelle legate al processo decisionale.
O’ Connor ed i colleghi hanno interpretato tale esito come la dimostrazione che, durante il dèjá-vu, mentre il cervello passa in rassegna i propri ricordi invia un segnale per indicare di aver trovato un errore: «un conflitto fra ciò che abbiamo realmente vissuto e quello che invece pensiamo di aver già sperimentato». Ciò sarebbe quindi positivo e sintomo d’un cervello in perfetta salute: non a caso a fare esperienza del dèjá-vu sarebbero principalmente i giovani.
Un aspetto che, invece, non è ancora del tutto chiaro, è perché alcune persone non lo sperimentino affatto: probabilmente, ci dicono gli esperti, il loro è un sistema efficiente al punto da non commettere errori che il cervello ritiene necessario segnalare.
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domenica 2 Aprile 2023