Un lupo che ulula nella notte e si specchia nella luna. Si presenta così il manifesto ufficiale del 69. Trento Film Festival, che porta la firma dell’artista sanmarinese Gianluigi Toccafondo. Ed è proprio a partire da questa immagine che si è aperta la conversazione che venerdì 30 aprile Alberto Faustini, direttore del quotidiano “L’Adige”, ha intrattenuto con il Presidente del Trento Film Festival Mauro Leveghi, la direttrice Luana Bisesti e il Responsabile del programma cinematografico Sergio Fant.
«Il lupo che si specchia nella luna significa volgere uno sguardo al futuro per capire che bisogna trovare un equilibrio più avanzato in questo rapporto che oggi va messo in discussione», ha affermato Mauro Leveghi, facendo allusione proprio al rapporto uomo-natura, all’interno del quale il Festival riveste l’importante ruolo di “campo base permanente”. Una metafora che ci porta a riflettere sulla funzione della montagna come punto di appoggio e base di partenza da cui ricominciare. Un Festival che ci fornisce le coordinate per ricercare un nuovo equilibrio e, soprattutto, per riscoprire il senso del limite. La montagna infatti è la cultura del limite e, all’interno di questa cornice, il Festival si trasforma in quella salita decisiva che è necessario affrontare per imparare a dubitare delle tante certezze che ognuno di noi ha e, solo allora, riuscire a trovare la forza per ripartire.
A tal proposito Luana Bisesti ha parlato di un «Festival diffuso», che è stato capace di imparare ad arricchirsi da quelli che sembravano dei limiti. Un Festival che, in presenza così come da remoto, ha vissuto una diffusione non solo territoriale, ma anche temporale, dove l’unico vero collante è sempre rimasto lo stare insieme, per crescere, nonostante tutto, anche quest’anno. Non è un caso, infatti, se una delle tematiche maggiormente toccate durante l’incontro è stata proprio quella del rapporto con gli spettatori. Leveghi ha posto l’accento sull’evoluzione del pubblico, il quale, nel corso del tempo, è diventato plurale ed ha lentamente abbandonato bisogni e gusti settoriali.
Anche Sergio Fant si è soffermato su questo aspetto di inclusività che caratterizza il Trento Film Festival, un Festival che è in perenne mutamento e che deve essere capace di adattarsi a cambiamenti, a richieste e a necessità sempre diverse. «E come si fa ad accontentare questa platea che cambia?» ha chiesto giustamente Alberto Faustini. A parlare per Fant è stata innanzitutto l’esperienza: «Mi ricordo quando i primi anni, in cui siamo un po’ usciti da quella tradizione alpinistica, la gente usciva dalla sala arrabbiata». Una fase oramai superata, ma dettata da quello che è l’incontro tra una comprensibile dose di legame territoriale e la reazione al cambiamento. «Il trucchetto è stato spiegare che non c’era un Festival che scompariva, ma ce ne erano degli altri che nascevano».
Il Festival, quindi, negli ultimi anni ha sicuramente ampliato i suoi orizzonti, incontrando il panorama internazionale e confrontandosi con culture molto diverse tra di loro. E forse è stata proprio questa la fortuna del Trento Film Festival, come non ha mancato di ricordare Sergio Fant: «Abbiamo aperto molte vie; la vetta è sempre la stessa, però ci sono diversi modi per arrivarci. E il pubblico ha scoperto che poteva seguire diversi percorsi e costruirsi il SUO Festival».
Insomma, il Trento Film Festival è un luogo innanzitutto di cultura e, per dirla con le parole del presidente Leveghi, la cultura è differenza, perché non c’è un’unica identità, ma un contesto plurale, come alla fine lo sono le stesse montagne. Ed è proprio a questa dimensione associativa che il Festival non ha smesso mai di guardare.
L’incontro si è concluso in una composizione ad anello, dentro la quale è riapparsa l’immagine precedentemente citata del campo base che sembra accompagnare questa 69. edizione. «Se il Festival è un campo base», ha affermato Mauro Leveghi, «in questo momento è un campo base da cui partire per conquistare spazi di futuro».
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lunedì 9 Dicembre 2024