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Il salone del Libro di Torino è un avamposto della Resistenza. Non solo perché si trova poco distante dalle Langhe di Pavese, Fenoglio e Calvino, ma perché quando pensi che tutto sta finendo e non ti vuoi nemmeno opporre trovi una storia che ti salva, un approdo nel bel mezzo dei marosi e fa ancora più strano che sia un approdo di carta.
È un luogo straordinario.
Autori noti e meno noti si siedono ognuno in una sala di colore diverso. E tu scegli quello che più ti somiglia. Così comincia la più imprevista ed economica consulenza psicologica che tu possa aspettarti. Ti siedi insieme ad altri ammalati, e possono anche essere centinaia, e comincia la terapia. Tu non l’hai nemmeno chiesta però ti lasci curare.
Quando un libro si presenta, per quanto cinico e disincantato o dolce e attento, fa breccia nella tua sensibilità. Che parli della morte di un figlio, di una musica che si suona in Grecia o di due ventenni che non si incontrano mai, ti abbassa le difese e poco importa che ti laceri fino a farti sanguinare o solo per consentirti di respirare. Può farti provare sdegno o un forte senso di estraneità, può sembrarti di non ricordare quando l’hai scritto e soprattutto quando te l’abbiano sottratto.
Il salone del Libro di Torino è un avamposto della Resistenza. Non solo perché David Grossman dice che scrivendo è riuscito a restare nella sua vita, ma perché leggendo io riesco a restare dentro la mia. Non solo perché un padre, malgrado la morte di un figlio, riesce a non cadere fuori dal tempo scrivendo un canto che parli di un laggiù tetro e indicibile, ma anche perché ci fa il gran favore di ricordarci che quel laggiù cupo e profondo esiste se uno ci va e soprattutto se uno ci torna, esiste solo se riusciamo a opporre alle catastrofi che ci pietrificano la nostra libertà di movimento.
Il salone del Libro di Torino è un avamposto della Resistenza. Non solo perché Vinicio Capossela dice che amareggiarsi vuol dire spingersi nella mareggiata, attraversare il male, non tapparsi le orecchie ma prendere a bordo le sirene e slacciarsi l’anima in una taverna di Θεσσαλονίκη (Salonicco), ma anche perché un po’ di quel Rebetiko lo suonano anche questa miriade di corridoi in cui non ti perdi, questo luogo di fantastic-azioni.
Il salone del Libro di Torino è un avamposto della Resistenza. Non solo perché Paolo Di Paolo, giovanissimo autore di Mandami tanta vita, dice che scrivere è recuperare quella parte di noi che se ne è andata con chi non c’è più, ma anche perché nel dirlo si commuove perché gli manca Tabucchi e anche perché nell’ascoltarlo, nel vederlo, ci commuoviamo anche noi ma Tabucchi ci manca di meno.
Il salone del Libro di Torino è un avamposto della Resistenza non solo perché forse un giorno De Gregori o Testa (o entrambi!) scriveranno una canzone che parla di me, ma soprattutto perché fuori da qui l’entusiasmo appassionato, il coraggio velleitario di andarglielo a chiedere io non l’avrei mai avuto.
Ogni sala un colore. Questo posto scompone la luce. E declina la fiducia nel futuro.
Bulkington
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martedì 3 Ottobre 2023