Uno schermo nero, una scritta al neon e lo schermo del proprio dispositivo che si “frattura”. Questo è l’iter da seguire per immergersi nel mondo di Black Mirror, la serie antologica ambientata in vari scenari dove l’elemento digitale è sempre portatore di una deriva distopica, capace di guadagnarsi un posto, con prepotenza, nell’immaginario comune: dopo quattro anni di lavoro il team di Charlie Brooker è tornato di nuovo su Netflix, dove proiettano regolarmente dalla terza stagione, con la sesta raccolta di episodi.
Il nome del regista Charlie Brooker era, e probabilmente è tutt’ora, non troppo conosciuto – la fama del suo prodotto artistico lo precede, senza dubbio – ma nell’ultima settimana, subito successiva alla pubblicazione della stagione, tantissimi critici e appassionati sono finiti per far riecheggiare il nome, citato in precedenza con estrema parsimonia, in ogni dibattito. La ragione è da cercare nel distacco che la serie porta rispetto ai tempi centrali nel progetto artistico, perlomeno fino ad ora. Dei cinque racconti presentati sono solo due quelli ad avere come centrale un elemento tecnologico e un’atmosfera sci-fi, “Joan is Horrible” e “Beyond the Sea”, con quest’ultimo capace di toccare i picchi fantascientifici delle prime stagioni. Oltre l’elemento “scenario”, quello che ha sbigottito molti degli spettatori sono state le trame fortemente horror in cui si è calato il già regista di Dead Set, di cui possiamo vedere in quest’ultimo lavoro una sorta di reincarnazione: media e sangue non mancano per la, quasi, totalità della visione.
La serie si è lentamente trasformata in una raccolta esopica, di cui Brooker si è fatto carico: nella stragrande maggioranza delle azioni dei protagonisti raccontati possiamo osservare un’analisi morale ben più approfondita se messa in parallelo con le “semplici” profezie di cui la serie tv si era fatta portavoce negli anni, come la disfunzione umana di fronte al fenomeno digitale o la preponderanza degli elementi tecnologici nella nostra quotidianità. La critica alla società contemporanea, raccontata con una particolare scelta stilistica di ambientare un po’ tutto “nel passato”, potrebbe essere diventata la nuova voce di una serie che aveva messo in guardia il mondo di fronte a tanti rischi comportati dall’uso smodato, o non consono, delle tecnologie: il passato di Black Mirror raccontava un presente di incertezza in cui tutto doveva essere scoperto; oggi che l’intelligenza artificiale potrebbe aver scritto questo articolo il presente da raccontare è solo uno, quello colto a pieno dall’inglese, il nostro, raccontato da uno schermo, che finisce per non essere che uno specchio di quanto stiamo affrontando come società. Per quanto dai più appassionati stanno arrivando, e sicuramente continueranno ad arrivare, numerose critiche – principalmente per il forte distacco dai temi tech e per la poca incisività che hanno alcuni episodi più macabri, come “Demone 79”, Black Mirror, o per meglio dire l’estro di Charlie Brooker, è riuscito ad offrire un ulteriore spunto di riflessione non indifferente, specie se teniamo in conto che gli episodi hanno seguito di pari passo, nella fase di ideazione, le vicende della pandemia da Covid-19 e i suoi risvolti subito successivi.
L’opportunismo di Netflix, nemmeno troppo velato, è stato palesato nella grande critica contro le piattaforme streaming stesse, così come le critiche nei confronti dei suoi utenti, ma ciò non toglie che il servizio streaming, preoccupatissimo dal password sharing, ha confermato ancora una volta la propria capacità di sfornare prodotti di qualità, ai quali in precedenza sembrava essere stata preferita la misura: Black Mirror torna dopo quattro anni, il tempo che era stato impiegato in precedenza per produrre quattro stagioni – 2012-2016, dalla prima alla quarta.
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mercoledì 22 Gennaio 2025