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Appena varcavi la soglia, una luce violacea ti avvolgeva rapidamente. Sembrava di essere entrati nella caverna di Maga Magò, piena di intrugli fumanti che venivano versati in bicchieri d’altri tempi e serviti con cura ai commensali. La particolarità di quel posto era che ogni avventore veniva studiato attentamente dalla barista – impossibile sfuggire ai suoi occhi, che risultavano quasi inquisitori da quanto erano capaci di guardarti dentro – che, dopo un’analisi che durava suppergiù cinque minuti, iniziava a mescolare e a preparare “la bevanda giusta”.
Non si può servire la stessa bevanda ad Anna Karenina o a Don Chisciotte. La prima entrava nel locale distrutta e il suo sguardo implorava pietà: non voleva parlare con nessuno, perché cercava in quel posto un rifugio per se stessa, ma forse anche da se stessa. La sua storia con il conte Vrònskij cominciava a vacillare, e lei si era resa conto, in maniera brusca, di quanto fossero devastanti le insicurezze che si portava dentro. La testa annebbiata, il cuore pesante, non riusciva neanche a parlare. Le uniche parole che proferiva rivolgendosi alla barista erano queste: “Il solito”. Ma che cos’era quel “solito” che chiedeva con voce così flebile? L’intruglio che la barista – di cui non conosciamo il nome – le dava era composto da un mix di erbe aromatiche che raccoglieva la mattina, nel giardinetto che stava proprio lì accanto e che coltivava con cura. L’erba più importante di tutte, e anche la più difficile da acquisire e coltivare giorno per giorno, si chiamava “accettazione”. Accettazione di sé, dei propri limiti e delle proprie fragilità. Una cosa talmente tanto banale che tanti spesso dimenticavano di portarsela appresso tutti i giorni. La barista la coltivava quindi caparbiamente per servirla ai clienti che ne avevano bisogno, tra i quali proprio Anna Karenina. Dall’altro lato della sala, c’era Don Chisciotte che si guardava intorno divertito e confuso al tempo stesso. Era la confusione che gli annebbiava il cervello ogni volta che combatteva contro i mulini a vento. Grandi ideali e idee rivoluzionarie, ma poi, quando giungeva al punto di doverli concretizzare, l’unica cosa che sapeva fare era chiamare a raccolta l’amico Sancho Panza, che lo guardava con fare perplesso, e il fedele Ronzinante, non proprio un cavallo su cui puntare ma pur sempre qualcuno su cui contare. La barista guardava Don Chisciotte con la simpatia che suscitano le persone che credono di poter cambiare il mondo agitando la propria spada a destra e a manca, senza una direzione precisa, con l’unica consapevolezza che “cambiare il mondo non è utopia, è solo giustizia”, frase che Don Chisciotte ripeteva senza sosta all’amico Sancho. L’intruglio che serviva al cavaliere errante della Mancia, perciò, doveva servire a liberargli le vie oculari da decenni di letture che avevano avuto come tragicomica conseguenza la pazzia più assoluta. Don Chisciotte non riusciva a vedere nitidamente niente, nemmeno Dulcinea, che forse non era proprio così bella e affascinante come lui se la immaginava. La barista cercava però di somministrare l’intruglio che serviva a Don Chisciotte a piccole dosi, perché pensava che in fondo un po’ di pazzia di questi tempi va sempre bene. Don Chisciotte riusciva a rigirare tutte le affermazioni malevole sul suo conto, ed era persino capace di strappare un sorriso alle persone più serie e infelici, come Anna, che, se alzava lo sguardo, lo vedeva ridere sguaiatamente di fronte a sé.
I due, Anna Karenina e Don Chisciotte, sono accanto anche in una bella citazione del regista Ettore Scola, che ha scritto: “Perché c’è un ordine segreto. I libri non puoi metterli a caso. L’altro giorno ho riposto Cervantes accanto a Tolstoj. E ho pensato: se vicino ad Anna Karenina c’è Don Chisciotte, di sicuro quest’ultimo farà di tutto per salvarla”.
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lunedì 9 Dicembre 2024