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Un viaggiatore non segue percorsi calpestati

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In Tibet con un permesso di viaggio o nella Cina culturalmente tibetana con la libertà di viaggiare? Settembre e ottobre sono i mesi ideali per queste zone: le nevi si ritirano e aprono i sentieri.

Lo scorso autunno ero nel Sud della Cina e qualcosa mi spinse fino ai piedi degli Altopiani tibetani. Il Tibet mi affascinava, ma il mito costruito per un turista occidentale a digiuno di pace ha sempre frenato la mia voglia di scoprirlo. Per questa ragione ho scelto di conoscerne “un altro”, libera da gruppi organizzati e da permessi da autorizzare.

Ero nella provincia cinese dello Yunnan. Una tela naturale incastonata fra Laos, Birmania e Regione Autonoma Tibetana. Una terra dove il verde di coltivazioni di tè, tabacco e riso non esaurisce mai la sua produzione. Una terra colorata da ventisei minoranze etniche e attraversata da un’antica via, forse la più vecchia al mondo, che connetteva India-Birmania-Tibet attraverso i commerci di te e cavalli.
Risalendo la provincia, oltre alla presenza di un’autentica civiltà cinese che ordina luoghi e scandisce tempi, si incontrano dei territori geograficamente e culturalmente tibetani. Giunta alle porte della Regione Autonoma, il panorama era quello di turisti in coda per un posto nei tour e di sportelli bancomat assaltati per pagare permessi e aerei.
Ero in Cina e mi sono fidata dei suoi padri taoisti secondo i quali “un buon viaggiatore cammina su percorsi non calpestati”. Con i mezzi pubblici a disposizione dunque, mi sono arrampicata per circa 3000 km. Dalla vecchia cittadina di Shangrilà a Nord dello Yunnan – ottima base di partenza a 3300 m – ho risalito le province cinesi del Sichuan e di Qinghai, restando nei territori tibetani senza oltrepassare il limite politico – o autonomo – dello stesso.
Gli abitanti di queste zone di confine sono i khampa tibetani, allevatori di yak e persone nomadi che vivono terre difficili in un sali e scendi di passi che toccano i 4000 m, ma che ospitano vere e proprie città-monastero di non so quanti monaci. Per le strade invece donne khampa cucinano ottimi spiedini di funghi himalayani assieme a cinesi di etnia Bai che li condiscono con petali di fiori alpini secondo antiche ricette mediche locali.
Viaggiando in equilibrio sulla linea che mescola cultura cinese e tibetana, si incontrano anche montagne sacre come quella di Emei. Con i suoi 70 km di sentieri e dozzine di templi, è stata rifugio taoista fino alla visita di Boddhisattva Puxian – simbolo della pratica e della meditazione buddhista nonché fondatore del sistema Yoga – che nel 500 in groppa al suo elefante dorato a sei zanne, convertì molti dei templi da taoisti in buddisti.

Tra Cina e Tibet, alla fine delle esplorazioni, c’è ben poca partita. Stravince la prima: un Paese verde-natura e arancione-preghiera dove senza permessi si viaggia con il cuore libero di ridere e dialogare con monaci e abitanti di una nazione che unisce 56 etnie sotto un unico grande tetto.

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