“Il basket è cambiato molto da quando ero un atleta. Negli anni ’70 era più fisico, si poteva marcare stretto l’avversario e nel complesso rendeva il gioco molto chiuso. Adesso invece conta più il lavoro di squadra che non l’individualità, è diventato più aperto e molto bello”, esordisce Michael Cooper, il campione dei Los Angeles Lakers degli anni d’oro, presente al Sociale di Trento per il Festival dello Sport.
Ricorda poi il 1980 quando nel team fece il suo ingresso Magic Johnson: “Era il più giovane, eppure capiva il gioco come nessun altro. Quell’anno ci ha riportato la sicurezza che ci serviva per vincere e dopo il trionfo nel campionato eravamo certi che non ci avrebbero più fermati. Iniziava anche a formarsi l’idea che la pallacanestro dovesse intrattenere i lavoratori e lui era perfetto, con il suo il carattere solare e il sorriso contagioso”.
Sono gli anni in cui l’NBA sbarca in televisione e l’obiettivo diventa “rendere questo sport accattivante. Dovevamo divertire, non era importante solo centrare il canestro ma metterlo a segno con la verve che ci contraddistingueva. Questo era quello che la gente voleva da noi. Anche la storica rivalità con i Boston Celtics contribuiva a creare la teatralità. I fan avrebbero voluto che ci scazzottassimo per strada ma in realtà ci siamo sempre rispettati a vicenda, nonostante loro fossero meno forti di noi e decisamente meno simpatici”, scherza ammiccando.
Nel 1987 è il primo giocatore ad essere premiato come miglior difensore dell’anno, soprattutto per la sua capacità di marcare un avversario eccezionale come Larry Bird. “Non era come gli altri, anche giocatori fortissimi come Michael Jordan che sono arrivati dopo: era generoso con la squadra, non si fermava mai, andava avanti e indietro per il campo a cogliere rimbalzi e a prendersi la palla. Quell’anno straordinario in realtà avevo lavorato molto per diventare più versatile. Magrolino com’ero, riuscivo a sgusciare ovunque, ma gli avversari mi sfidavano a tirare a canestro, convinti che non ce la facessi. Mi allenai soprattutto sui tiri da tre punti e il 1987 fu, per assurdo, l’anno in cui attaccai di più”.
Da quel momento in poi cercò di difendere il proprio primato ma mettendo sempre al primo posto la squadra, perché “è l’unione a vincere i campionati, i premi individuali arrivano di conseguenza”. L’introduzione dei tiri da tre aveva permesso di liberare la parte centrale del campo che fino ad allora era stata molto congestionata, rendendo il gioco più aperto e iniziando il processo di ammodernamento. Adesso Cooper allena una squadra femminile di WNBA: “Sono circondato da donne e la cosa mi piace molto. Hanno trovato un loro modo di giocare, diverso da quello degli uomini, meno basato sulla forza fisica e decisamente più scaltro. Magari impiegano più tempo a portare a termine un’azione ma lo fanno con intelligenza e furbizia. È eccezionale da guardare, non penso mi stancherò presto di allenarle”.
Oltre a quest’attività collabora ancora con i Lakers in veste di ambasciatore e ha fondato una scuola che aiuta i giovani a trovare la propria strada e ad emergere. “Alle nuove generazioni consiglio di ricordare sempre che il basket è un gioco. Non siete solo atleti ma anche persone con una vita al di là dello sport. Restate ancorati a voi stessi”.
Foto © Archivio Ufficio stampa Provincia autonoma di Trento – Alessandro Holneider
Sport
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sabato 6 Dicembre 2025