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Gloria Steinem. Un’icona femminista

Non è la prima volta che il nome di Gloria Steinem compare tra le righe di UnderTrenta. Chi aveva letto l’articolo sulla serie tv Mrs America dovrebbe saperne qualcosa: il personaggio di Steinem è co-protagonista della serie, accanto alla Phyllis Schlafly di Cate Blanchett.

Il ritratto che emerge dalla finzione televisiva è in realtà abbastanza veritiero: una donna votata alla leadership e destinata a diventare uno dei volti di riferimento del moto femminista degli anni Sessanta e Settanta. Del resto, Steinem non ha fatto altro che seguire le orme della nonna paterna, Pauline Perlmutter Steinem: presidente del comitato educativo della “National Woman Suffrage Association”, delegata al Consiglio internazionale delle donne del 1908 e persino la prima donna a essere eletta al “Toledo Board of Education”.

A questo splendido esempio in famiglia, si aggiunge però una situazione complicata tra i suoi genitori. Dopo il divorzio, infatti, suo padre andò a vivere in California, senza mai contribuire alla stabilità finanziaria (già precaria) di Gloria e della madre. Sarà la stessa Steinem a dichiarare di aver tratto un insegnamento importante dalla propria infanzia, perché proprio osservando la madre comprese in prima persona le difficoltà che una donna doveva affrontare quotidianamente, a causa della grave disparità di genere (soprattutto in termini economico-finanziari e politici) che ancora caratterizza il nostro presente, ma che allora era persino più problematica.

La sensibilità e la rabbia di Steinem per le ingiustizie sociali sono state incanalate in un attivismo instancabile. Le campagne a sostegno dell’aborto legalizzato e dell’aspettativa dal lavoro, la co-fondazione del “Comitato politico nazionale delle donne” (1971), della rivista Ms. (1972), del “Women’s Media Center” (2005) sono solo alcuni esempi noti del suo impegno politico, peraltro tuttora in atto.

Una delle vicende che hanno contribuito a rendere Steinem una vera e propria icona del movimento femminista di quegli anni risale al 1963, quando Gloria decise di diventare, naturalmente sotto copertura, una “coniglietta” del Playboy Club di New York.

Per conto della rivista Show, fece pubblicare un diario in cui testimoniava la propria esperienza come cameriera nel club di Hugh Hefner, documentando i comportamenti maschilisti non solo da parte dei clienti, ma anche dello staff, che invitava le donne a essere più “permissive” nei confronti degli uomini in modo da vendere più consumazioni. Inoltre, l’inchiesta raccontava con dovizia di particolari le condizioni discriminanti e stressanti in cui le dipendenti erano costrette a lavorare, dall’abbigliamento («era così stretto che la cerniera mi ha morso la pelle mentre chiudevano la zip nella parte posteriore. […] I miei piedi erano ancora così gonfi dalla sera prima che riuscivo a malapena a indossare le mie scarpe abituali») fino al salario (più basso di quanto promesso e in larga parte impiegato per la manutenzione del costume). Riuscì a mantenere la copertura per un mese.

Solo una donna intraprendente, coraggiosa e inarrestabile come Gloria Steinem poteva diventare un’icona così significativa per il femminismo prima americano, poi mondiale.

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