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Si salvi chi PROG – Grazie davvero, PFM

“Si salvi chi PROG” non può che concludere l’anno in bellezza. E come chiudere l’anno in bellezza, se non con un capolavoro italiano della nostra amata PFM? Capolavoro che è anche esordio, perché certi gruppi (i King Crimson ne sanno qualcosa) non hanno neanche la grazia di darsi del tempo prima di sfornare opere meravigliose. Le producono così, fin dall’inizio, come se niente fosse. E noi comuni mortali restiamo a guardare (o, in questo caso, ad ascoltare).

Anche se forse “guardare” non è del tutto inappropriato. Le copertine dei dischi prog sono spesso e volentieri delle opere d’arte di per sé. Guardate questa copertina, la cover di Storia di un minuto (1971): se prima di conoscere l’album me l’avessero presentata come un’opera di Giorgio de Chirico, o di qualche altro pittore metafisico, ci avrei creduto. Anzi, l’avrei vista benissimo appesa in qualche museo di arte contemporanea.

Ma veniamo al disco. Ispirati dalla musica psichedelica proveniente da oltremanica, Franco Mussida e Mauro Pagani (autori di tutte le tracce) danno prova di un’abilità compositiva che sa trovare il giusto compromesso tra sound britannico e nostrano: non si limitano cioè a rincorrere o a scimmiottare i colleghi inglesi, ma imprimono alla loro creatura uno stile del tutto personale.

Del resto, pezzi storici come Impressioni di settembre nascono proprio da lì, da un impulso personale. In questo caso, l’impulso appartiene a Mogol, che non ha certo bisogno di presentazioni e che scrisse il testo di getto: una mattina uscì di casa, vide la rugiada, un cavallo, sentì l’odore del grano e lo colse quella illogica allegria di gaberiana memoria grazie a cui oggi possiamo godere della sua epifania trasformata in poesia. E quando una poesia è accompagnata dalla chitarra di Franco Mussida, il miracolo può dirsi compiuto.

Un’altra curiosità nascosta dietro a Impressioni di settembre riguarda il moog, strumento composto da tre oscillatori che creano delle onde da mescolare: ci si potevano perdere delle ore, giocando con le manopole per creare suoni originali, ma sempre sfacciatamente sintetici.

Alla PFM l’inciso di Mussida sembrò talmente bello da sentire il bisogno di uno strumento che potesse rendergli giustizia. Cercavano qualcosa di evocativo e, ascoltando Lucky Man di Emerson, Lake & Palmer, ebbero l’illuminazione: il moog, appunto. La Premiata Forneria Marconi è stata la prima in Italia a utilizzarlo.

Il resto del disco potrebbe quasi raccontarsi da solo, per via di quella folle indipendenza che caratterizza i brani prog e che li rende sempre sfuggenti a chi cerca di imbrigliarli o di intrappolarli in un pugno di parole. Come si fa a descrivere È festa, un saltarello in salsa progressive di impegno tecnico devastante, senza per forza di cose sminuirne l’energia vitale? Lo stesso vale per La carrozza di Hans, o per Grazie davvero.

Un tripudio di chitarre, di ottavini, di clavicembali, di violini e di moog, con il giusto tocco di poesia. Storia di un minuto è tutto.

Cultura
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