“Junk”
Recensione del libro di Melvin Burgess
Questo articolo fa parte del laboratorio Scrittori di classe
L’autore, Melvin Burgess, racconta in questo libro la storia di due ragazzi, Tar e Gemma, che vivono negli anni Ottanta in un piccolo paese della Gran Bretagna.
Tar, un bravo quattordicenne appassionato di disegno e di arte, ha una madre alcolizzata che tenta di aiutare in tutti i modi e un padre violento. Dopo essere stato picchiato per l’ennesima volta, decide di scappare di casa. Gemma, la sua ragazza, annoiata, in conflitto con i genitori troppo apprensivi, «inchiodata alla scuola e alla famiglia» da cui si sente soffocata, decide di raggiungerlo a Bristol in una casa occupata con un gruppo di ragazzi anarchici.
Ben presto i due giovani precipitano nel vortice dell’eroina. La voglia di fare nuove esperienze, di provare almeno una volta nella vita qualcosa di diverso, di godersi la libertà conquistata spinge Tar e Gemma a frequentare persone che segneranno le loro vite per sempre.
È una storia intensa e durissima, molto coinvolgente a partire dal titolo, “Junk”, che in italiano significa “tossico”. Sono i ragazzi, a turno, a raccontare la propria esperienza.
Dal loro racconto si capisce che l’eroina, inizialmente, è il massimo, fa sentire meglio di qualsiasi altra cosa. È pericolosa solo per il fatto che, dopo “aver volato”, si deve ritornare in una realtà che potrebbe non piacere. Ma i tossici credono di esserne più forti. Vivono con la convinzione di poter smettere e ricominciare a loro piacimento.
Per i due protagonisti arriva inesorabilmente il momento in cui “la roba” diventa l’unico pensiero. Se inizialmente la droga li faceva star bene, una volta che il corpo si abitua e ne risulta quindi dipendente, il bisogno, anche solo per sentirsi normali e andare avanti, diviene incontrollabile, così come il dolore fisico diventa insopportabile. A questo punto è la paura il sentimento che predomina, non tanto il timore dell’Aids o di un’overdose che potrebbe portare alla morte, ma il terrore di restare senza la dose.
Questo fa nascere nel lettore un senso di compassione nei loro confronti. I ragazzi si trascinano a vicenda verso il baratro, sono costretti a rubare e Gemma finisce per prostituirsi; l’amicizia e l’adolescenza vengono così scavalcate e distrutte, divorate dalla necessità di avere la dose necessaria per se stessi. Sullo sfondo, il senso di fallimento provato dai genitori, che si accusano reciprocamente scaricandosi addosso le responsabilità durante liti aspre e amare.
In questo libro ho trovato molte similitudini con lo spettacolo teatrale “Gran Casinò“, recentemente andato in scena al Teatro San Marco di Trento. In entrambe le trame viene affrontato il tema della dipendenza, in un caso quella da stupefacenti , nell’altro quella dovuta al gioco. Si comincia sempre pensando di poter gestire la situazione, liberi di poter smettere in qualsiasi momento. In realtà si finisce con l’essere completamente travolti e incapaci di uscire dalla spirale della dipendenza e si è disposti a qualsiasi cosa pur di procurarsi una dose o la possibilità di procedere all’ennesima giocata.
Cultura, Scrittori di classe
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sabato 5 Ottobre 2024