Il coraggio di guardare il mondo in profondità, intervista a Marino Sinibaldi (seconda parte)

Foto di Stefania Gadotti

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Considerando dunque la tecnologia come un’opportunità, pensa possa esserlo anche per accrescere la bassa percentuale di lettori in Italia al giorno d’oggi?

Può sicuramente contribuire a eliminare quella specie di alone reverenziale e un po’ esigente che a volte c’è intorno al libro e alla lettura: nonostante tante cose siano cambiate nel tempo, rimane in una parte di popolazione questa sorta di estraneità, di timore per quello che il libro e i suoi luoghi rappresentano. La tecnologia può dunque essere un elemento di avvicinamento poiché aumenta ulteriormente l’accessibilità. Inoltre, essa ha già messo in contatto con il tema della lettura e della scrittura generazioni che pensavamo destinate a fare a meno della lingua e della cultura scritte. In realtà, buona parte della nostra comunicazione su smartphone e social è ancora fatta di parole che digitiamo, quindi in qualche maniera componiamo.

Lei ha definito la cultura uno strumento per vincere la paura e l’incertezza. Al netto di ciò, perchè essa resta spesso in secondo piano sia a livello di percezione personale, sia istituzionale? Le chiedo inoltre, in riferimento a ciò, una riflessione sulle disposizioni attuate in fase di pandemia…

 Per quanto riguarda la percezione personale, è vero che nella pratica domestica e individuale la cultura risulta a volte messa da parte, poiché è spesso preferibile dire delle verità di comodo, utilizzare parole semplici e slogan. L’atteggiamento culturale che guarda ai fenomeni con consapevolezza e rifugge le semplificazioni, vedendo le cose come realmente sono, ossia complesse – che non significa difficili da capire ma ricche di elementi, anche contraddittori – necessita invece di osservazione, tempo, concentrazione e studio: attività che richiedono uno sforzo. In sintesi, se si vuole dire qualcosa di vicino alla verità bisogna fare discorsi un minimo complessi, ampi, con parole precise e ciò costa una certa fatica.

Per quanto riguarda invece l’altro argomento, penso che chiudere i luoghi della cultura sia stato un atto inevitabile e un gesto di grande responsabilità per evitare le occasioni di assembramento e movimento che avrebbero aumentato le possibilità di contagio. È da ricordare che le librerie sono rimaste aperte perché i libri sono stati considerati beni di prima necessità, al pari di medicinali e alimentari, e questo è, almeno simbolicamente, molto importante. Inoltre musei e teatri hanno offerto molte possibilità di visita e fruizione da remoto: chi non le ha sfruttate ma si è lamentato ha solo strumentalizzato le chiusure.

Se la cultura può essere considerata una porta aperta sul mondo, cosa ci serve per avere il coraggio di spalancarla?

Quello che serve è proprio il coraggio. Se fosse la porta di casa, non si parlerebbe di coraggio, perché è poco impegnativa da aprire, al contrario la porta della cultura lo richiede. Senza esagerare, non bisogna essere Messner per scalare la cultura (ride, ndr), ma un po’ di coraggio serve. La cultura è sì gratificante e rallegrante, ma è anche qualcosa che ti mette in discussione: ci sono libri che divertono e libri che svelano verità sul mondo e su noi stessi che forse non vorremmo sapere. È facile rimanere nell’area confortevole delle proprie sicurezze, serve dunque coraggio per inoltrarsi in ciò che svela che le cose non sono così semplici, serve coraggio per guardare in faccia al mondo e dentro noi stessi. È sempre presente, con la cultura, il rischio di vederci diversi da come ci immaginavamo, meno luminosi ma più veri, e per questo servono capacità e volontà di andare oltre l’apparenza di come siamo fatti e delle nostre relazioni.

Gli strumenti che lei definisce propri della cultura sono lettura, ascolto e conversazione. Come si relazionano tra loro questi elementi che, forse, nel linguaggio comune, rischiano di risultare “vuotati” del loro vero significato?

La lettura per me è guardare e leggere il mondo, attraverso un libro, uno schermo cinematografico o un quadro. L’ascolto è il porsi in posizione di attenzione: la cultura nasce proprio dall’attenzione che ci consente di guardare la profondità e la complessità delle cose. La conversazione è prima di tutto uno scambio di idee: per conversare bisogna sapere prima di tutto ascoltare, poi bisogna saper – e avere il coraggio di – prendere la parola. Quest’ultimo concetto è molto importante perché significa saper portare agli altri la ricchezza che abbiamo accumulato proprio con lettura, ascolto, osservazione. Conversare significa essenzialmente condividere, anche conflittualmente. È infatti fondamentale che si lasci sempre uno spazio per il dubbio, non chiudersi nelle camere stagne delle proprie convinzioni ma aprire alle opinioni degli altri, portarle dentro di noi utilmente per rapportarci con nostri punti di vista, rafforzandoli. Anche qui serve coraggio, quello di confrontarci con gli altri.

Cultura
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sabato 27 Luglio 2024