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Eurovision Song Contest 2022: la parola all’esperto (Seconda parte)

Leggi la prima parte dell’intervista.

Dopo esserci concentrati sul contesto, sempre in compagnia di Gianni Gatti, continuiamo il nostro viaggio all’interno dell’Eurovision Song Contest 2022, passando in rassegna alcune delle esibizioni più interessanti della finale.

Partiamo allora dai vincitori di questa edizione: la band ucraina, Kalush Orchestra. “Loro hanno saputo mescolare intelligentemente un genere moderno come il rap con la loro musica tradizionale, creando un ritmo coinvolgente che ha sostenuto il pezzo, rendendolo il più credibile tra tutte le canzoni in gara”, commenta Gianni.

Il secondo posto è andato invece alla Gran Bretagna con Sam Ryder, che “probabilmente sarà quello che trarrà maggior vantaggio dalla manifestazione perché ha dimostrato di essere un cantante di ottimo livello, con un’ampia estensione e con un pezzo internazionale che può avere successo ovunque.”

Terza la Spagna con la cubana Chanel che aveva “un pezzo intrigante, sebbene sentito e risentito. È l’esempio di come un bel numero unito ad un ritmo che funziona riscontri successo di pubblico.”

La svedese Cornelia Jakobs conquista la quarta posizione: “voce e personalità intense, peccato fosse accompagnata da un brano privo di originalità.”

Al quinto posto la Serbia dei Konstrakta che si può definire “più un’installazione che una canzone.”

L’Italia con Mahmood e Blanco si attesta al sesto posto: “Nella loro esibizione c’è stato qualcosa che non ha funzionato, non so se fosse l’emozione, ma non sono riusciti a emergere e nel complesso è stata una pessima performance.

Degne di menzione per raffinatezza, classe ed eleganza le esibizioni di Maro, portoghese di origini italiane, che “si rifaceva alla tradizione del fado”, di S10 per i Paesi Bassi, “voce calda e profonda”, dell’armena Rosa Linn, “cantante straordinaria”, e della lituana Monika Liu, che “nell’aspetto e nella ricercatezza ricordava moltissimo Mireille Mathieu.”

Sofferto il testo della canzone dell’australiano Sheldon Riley, scritto all’età di nove anni, “peccato non fosse accompagnato da una musica altrettanto struggente: mancava davvero poco perché fosse una grande hit.”

Dalla seconda semifinale rimane poi l’amarezza per la mancata qualificazione di Cipro, “la cui esponente, Andromache, ha cantato un sirtaki, il ballo tradizionale greco, in una chiave pop molto interessante.”

Gli ultimi posti della classifica vanno alla Francia degli Alvan & Ahez che hanno cantato in bretone su sottofondo di tamburi, “poteva essere una grande trovata ma non hanno sviluppato la giusta melodia e il risultato è stato molto deludente”; e alla Germania di Malik Harris che, “senza scenografie e senza luci, si è dimenato come un matto ma non ha convinto nessuna giuria di qualità e questo dice tutto.”

A concludere la serata della finale è arrivata l’attesa esibizione dei Maneskin, durante la quale “abbiamo finalmente sentito non solo delle voci sopra una base musicale, ma anche gli strumenti stessi: erano protagonisti tanto quanto il canto. Voce e strumenti si amalgamavano, facendo acquisire forza al brano e creando sonorità che, questa volta davvero, mettevano i Brividi.”

Cultura
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