Arte di fabbrica, il caso della “Brown Boveri”
Il Tecnomasio Italiano “Brown Boveri” era una fabbrica di punta per lo sviluppo industriale nazionale nel quartiere operaio, al tempo periferico, Isola di Milano, adibita alla produzione di macchinari elettrici pesanti. Lo stabilimento negli anni Sessanta cambiò sede e la fabbrica milanese venne abbandonata.
La Brown Boveri riprese vita nell’autunno del 1984 quando un gruppo di giovani artisti, tra cui Andrea Andronico ed Elena Giorcelli, scoprirono lo spazio dimenticato e decisero di occuparlo momentaneamente, trasformandolo in un luogo di ritrovo e laboratorio informale di creatività. L’inverno seguente fu molto freddo e la neve cadde copiosa, tanto che quel luogo dismesso risultò un rifugio adatto a chi volesse trovare uno spazio per sperimentare nuove forme d’arte.
Nonostante il suo carattere non ufficiale e prettamente locale, la collettiva “Brown Boveri”, realizzata a conclusione dell’occupazione nel 1985, riuscì a segnare la scena artistica milanese nel passaggio verso gli anni Novanta, incarnando uno spartiacque concettuale e sentimentale tra quello che c’era stato prima, la tradizione, e il nuovo.
La fabbrica si presentava come un classico non-luogo del disuso urbano, fatiscente nella struttura ma suggestiva per la sua assenza di identità come conseguenza del suo inutilizzo. Questa occupazione creativa nacque dalla ricerca di espressione e inventiva da parte di un gruppo di giovani artisti, esclusi dal circuito ufficiale dell’arte, che trasformarono l’esposizione alla ex fabbrica in un grande evento autogestito. Gli artisti coinvolti erano invitati a riportare in vita l’edificio come un simulacro dell’epoca contemporanea che ponesse accanto al rispetto per la storia passata il riacquisto di senso nella società odierna.
Partita da un ristretto gruppo di amici l’esposizione raccolse le opere di un gruppo di circa quaranta persone, non solo artisti o studenti del professor Corrado Levi della facoltà di Architettura, ma anche musicisti, ballerini e neofiti (tra cui Stefano Arienti). Le loro radici personali e professionali erano dei punti di partenza molto distanti fra loro: fu l’arte e il comune atteggiamento di ingenuità verso il linguaggio di forme pre-esistenti ad unirli. Questa immaturità fu la caratteristica non solo della “Brown Boveri”, ma di quel periodo milanese.
Alla base di questa occupazione clandestina c’era la convinzione di poter operare attraverso vie alternative creative al di fuori delle modalità tradizionali, mossi dall’urgenza di un’espressione artistica, restando volontariamente autogestiti e indipendenti dai circuiti artistici, preferendo una dimensione urbana e sociale.
Oggi la ex fabbrica è stata quasi interamente demolita, resta l’edificio “Stecca” che divideva i due blocchi, ora convertiti in giardini. Nonostante i cambiamenti, la zona della “Brown Boveri” ha mantenuto la sua vocazione per l’arte contemporanea, diventando prima sede dell’associazione Isola Art Center.
Leggi anche: Presentazione informale di Stefano Arienti
Cultura
Twitter:
lunedì 9 Dicembre 2024