I love New York
Questo articolo fa parte del laboratorio Scrittori di classe
New York è una città che grazie al cinema e alla televisione conosciamo, o meglio, pensiamo di conoscere. Ci sono familiari i suoi taxi gialli, i suoi grattacieli, la piantina della metropolitana e il suono delle sirene. Ognuno di noi, prima o poi, vorrebbe farci un giro e scattare una bella foto panoramica da uno dei tanti grattacieli.
Vorrei raccontare la città così come l’ho conosciuta in tante estati trascorse girovagando per le sue strade, frequentando vari camp sportivi, mescolandomi fra i ragazzi americani con i quali ho condiviso la mia passione per il basket. Una città ricca di suoni, di profumi, di colori, di acquazzoni improvvisi e di persone: una città che, come cantava Sinatra, non dorme mai, una città che è stata meta e mito dei nostri bisnonni e che è ancora oggi un sogno per molti giovani.
La prima volta che ho visitato New York sono rimasto talmente folgorato dai suoi grattacieli che alzando lo sguardo mi sono sentito piccolissimo. Ero incantato e al tempo stesso stupito dalla disposizione delle sue strade: una scacchiera dove si intersecano street ed avenue e che permette di muoversi più facilmente tra le vie della metropoli.
Con il tempo però ad affascinarmi non era più l’architettura, ma bensì quello che per certi versi credo sia il cuore della città: la gente. Che New York sia una città multietnica non è affatto una novità, ma quando ci passeggi ti rendi conto che non si tratta solo di persone di diverse etnie, religioni o lingue diverse a renderla una città speciale. New York è il frutto di tanti anni di immigrazione durante i quali flussi di persone hanno arricchito le sue strade con il profumo delle varie cucine, con il suono di 800 lingue e idiomi che talvolta sono addirittura scomparsi nei luoghi delle loro origini, con usi e costumi di tutto il mondo.
Potrà sembrare esagerato, ma mai come in questo particolare momento trovo questo aspetto così importante. Ora che si parla di costruire muri e chiudere le frontiere per arginare i flussi migratori, New York difende con orgoglio il suo voler esser città accogliente e aperta. Questo non significa che sia tutto facile, ma solo che la strada da percorrere è diversa da quella che alcuni propongono.
Nel mio piccolo posso dirvi che giocare fra 200 ragazzini che non parlano italiano, alcuni dei quali hanno pelle di colore diversa dalla mia e mangiano cibi diversi è stata un’esperienza difficile, ma soprattutto bella perché mi ha insegnato a temere l’avversario per le sue capacità di realizzare un canestro e non per il colore della sua pelle.
Scrittori di classe, Viaggi
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domenica 8 Dicembre 2024