Emigrante, rivoluzionaria, intellettuale, artista. Tina Modotti è stata tutto questo e molto di più, eppure l’unico aggettivo che le piaceva indossare era quello di fotografa.
Figlia di un socialista italiano e di un momento storico segnato dalla repressione, già adolescente si imbarca per l’America, il nuovo mondo con non meno problemi del vecchio, e trova infine in Messico il grembo fertile per lo sviluppo delle proprie idee e della propria esistenza.
Con l’apparecchio fotografico imbraccia l’arma migliore per l’affermazione non solo di una politica sociale, ma della forza vitale di un popolo, rintracciata all’interno di visioni di insieme quanto di dettagli fugaci. La processione di sombreri lungo una manifestazione, le icone simboliche di immediata potenza evocativa tanto quanto le mani callose disegnate dal lavoro, il profilo di un fiore e il profilo di un uomo, tutto parla alla sensibilità di una donna che fu moglie, amante e musa fedele alla propria coscienza mai meno di quanto lo fosse ad ogni suo ruolo.
Caleidoscopica, coraggiosa, scelse di assorbire la realtà che la circondava proponendo una visione che mescolava le utopie delle correnti surrealiste e degli scenari bohèmien al sudore e al sangue di un popolo, quello degli operai e degli agricoltori del Messico, che con la propria rivoluzione contro il potere dittatoriale di Díaz aveva ispirato tutto il mondo.
«L’arte non può esistere senza la vita», scriveva nel 1925 ad Edward Weston, suo compagno e maestro, e questa dicotomia, fonte tanto d’ispirazione quanto di lotta interiore, non avrebbe mai smesso di accompagnarla. Quando, con la violenza stalinista, il contrasto divenne insuperabile, Tina smise di scattare fotografie. La sua opera era compiuta, ma bastava già, per nostra fortuna, a riempire il futuro di quella sua dedizione alla libertà che è la più grande lezione da acquisire.
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martedì 21 Gennaio 2025