In architettura si cucina con gli avanzi
Anarchia architettonica o architettura illuminata?
A Belo Horizonte (Brasile) si finisce sotto i ponti per fare musica, spettacolo, arte, danza. I cittadini diventano attori e si riappropriano dell’ammasso di cemento fatiscente sotto il Viaduto Santa Tereza trasformandolo in quinta teatrale. Anarchia architettonica o architettura illuminata?
Le città si trasformano e i loro abitanti anche. Il concetto di abitare, da sempre associato a qualcosa di stabile, oggi è cambiato. Basta guardarsi attorno: centri storici recuperati ma disabitati, zone popolari senza servizi, baraccopoli temporanee nelle zone marginali, scheletri di impianti industriali dismessi. La tradizionale forma di città (insieme ordinato di spazi ed edifici, scandito da un ritmo preciso e riconoscibile) non esiste più e non esisterà più. Nulla di sconvolgente, se pensiamo che la città non è altro che lo specchio della società: una società in continua trasformazione, dominata dall’incertezza, dalla difficoltà di decidere al di là delle logiche instabili del mercato e del massimo profitto.
In quest’ottica il ruolo del progettista, soprattutto nel disegno urbano, diventa fondamentale. I problemi della liquidità sociale e dell’integrazione certo non possono essere risolti dagli urbanisti, ma il disegno urbano di una città permeabile, priva di barriere, ghetti e comparti monofunzionali può favorire o almeno non ostacolare questo processo. Monumenti, piazze, luoghi di culto ed edifici pubblici oggi si ritrovano immersi in un tessuto complesso e variegato, connessi da grandi reti di mobilità. Il problema è che i nuovi interventi su grande scala generano troppi effetti collaterali, troppi spazi di risulta, troppi luoghi non-luoghi.
Ora che il bisogno di ritrovare caratteri identitari è più vivo che mai, questi spazi inutilizzati possono diventare la punta di diamante per lo sviluppo di una nuova città moderna e socialmente integrata. Non è utopia: gli spazi dimenticati (più o meno consapevolmente) come scali ferroviari, parcheggi, aree industriali dismesse, vuoti urbani interstiziali, proprio per il loro essere spazi della marginalità e di “basso prestigio” hanno anche una maggior flessibilità e libertà d’uso.
Rilanciare cultura e arte dal basso significa rivitalizzare la città, permettendo a questi luoghi di trasformarsi in punti di incontro e di scambio, opportunità di crescita personale e collettiva.
A Belo Horizonte, lo spazio dimenticato sotto il “Viaduto Santa Tereza” è stato trasformato in un vero e proprio teatro, in cui, grazie alla musica e alla danza, gruppi sociali distinti si ritrovano e dialogano tra loro sentendosi tutti parte integrante della stessa città, e scoprendo possibilità di vivere nuovi (o vecchi) spazi che fino a quel momento erano sconosciuti.
La sfida è questa: l’invenzione di un nuovo paesaggio, la capacità dell’architettura di fare ordine costruendo sul costruito e di proiettarsi al futuro scommettendo su quello che è passato e dimenticato. Oggi si parte dal basso, dagli spazi-spazzatura, dal riuso degli scarti: i nuovi sapori si scoprono solo cucinando con gli avanzi!
Cultura
Mi ritrovo d’accordo con questa visione degli spazi apparentemente abbandonati come opportunità espressive non convenzionali. Ero rimasta colpita dall’utilizzo di parte del South Bank, parte sud del Tamigi a Londra, che prendeva vita grazie agli skater e all’utilizzo che i giovani fanno di una struttura nata come semplice “passeggiata lungofiume”. Spesso mi chiedo come verrà utilizzato lo spazio ex Montecatini-Alumetal di Mori, che per molti ha un grande fascino architettonico. E’ possibile renderlo uno spazio vitale nel tempo che ci vorrà per trovare una destinazione ufficiale? Un’altra costruzione “morta” è l’ala di cemento a Passo Fittanze, nella Lessinia veronese: quasi tutti la considerano una bruttura. Si potrebbe renderla vitale?Immaginarla come sfondo per uno spettacolo estivo, che sia musica o teatro? Speriamo che in futuro ci siano iniziative in questa direzione!