Sean Strickland: L’enfer c’est les autres

L’UFC, Ultimate Fighting Championship, sembra essere una macchina costituita per generare polemiche: essere l’organizzazione sportiva più grande al mondo di arti marziali miste può essere un’arma a doppio taglio, tanti ascolti, tanti soldi in entrata ma anche tante critiche; si tratta comunque di violenza pura, servita spesso on demand. Per metterci il carico, alcuni personaggi – escludendo la cerchia di daghestani, puri nell’animo e prodotto del loro stesso spirito ultrareligioso – sono veramente atipici. Non è il calcio, dove lo sportivo ideale è un “Cristiano Ronaldo”, puro impegno, costanza e sorrisone sotto i riflettori, nel mondo della lotta c’è più spazio per l’estro, non c’è l’idea di una squadra, quanto del singolo. Pensiamo al pugilato, Muhammad Alì è stato rivoluzionario, Iron Mike è un eroe per molti – per altri un bel po’ meno – e lo stesso nell’MMA: McGregor è diventato un caso sociale, Khabib un paladino e via discorrendo, ma tra i casi più curiosi dobbiamo citare Sean Strickland.

Indagando dietro quella che sembra essere una maschera, quella dell’hillbilly, lo zotico, che poi in concreto nemmeno c’è, si potrebbe rimanere sorpresi. Sean è nato nel ’91 a New Bern (Carolina del Nord), e possiamo essere certi che la sua infanzia, così come per l’adolescenza, non sia stata delle più felici. Ai microfoni del podcast “The MMA Hour” si è raccontato per com’è, senza veli ed è proprio per questo che è stato capace di spaccare il pubblico. Suo padre era violento, picchiava la madre, il nonno era un rimasuglio del (KK)Klan dei giorni che furono e lui un prodotto di questo ambiente. Sulla mente di un bambino i risultati sono ovvi: a 14 anni espulso per “crimini ispirati dall’odio” dalla scuola, le risse, la violenza, la perdizione totale. Ma – come nel celebre saggio di Sartre – l’enfer c’est les autres, l’inferno sono gli altri: Strickland ha rischiato di rimanere intrappolato nella visione che il suo ambiente aveva di lui, è uscito poi dalla stanza “delle torture”, rinunciando all’essenza che i suoi carnefici gli avevano “regalato”. Il lottatore era un “piccolo neo-nazi” (autodefinito tale), ma è finito per essere trascinato dalla madre in una palestra di MMA per sfogare quella rabbia che era ormai sua: il risultato è un pianto di cui Strickland non si vergogna affatto.

Tante delle persone che gli hanno teso una mano nel corso del suo sviluppo erano “quelli che avrebbe dovuto odiare”, e così cominciano i combattimenti, con un altro spirito addosso, tanta consapevolezza e più di un pizzico di follia: dopo essersi pagato una cauzione per una rissa, viene spedito in Sud Africa (per l’associazione King of The Cage, trampolino per l’UFC) e inizia a macinare vittorie. Oggi che è campione dei pesi medi, che è stato allenato da Alex Pereira per sconfiggere il temibile Israel Adesanya, c’è da commuoversi, al posto suo, per quanto “il suo cervello rimarrà sempre danneggiato per tutto quello che ha visto”, parole sue. Tante delle sue dichiarazioni sono borderline, rischia sempre di essere cancellato, ma c’è da avere coscienza di come sia stato capace di capire i propri errori, anche se “certe esperienze ti portano a non essere socialmente capace di convivere in alcune situazioni con il resto del mondo”, come ha dichiarato più volte.

 

 

 

Sport
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

sabato 27 Luglio 2024