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I fiori del male – Árpád Weisz

Árpád Weisz nasce a Solt (Ungheria) il 16 aprile 1896 e, tra le due Guerre mondiali, diventa uno dei più grandi maestri del calcio italiano. Con il pallone comincia presto, entrando a 15 anni nelle giovanili del Torekves. Le ambizioni personali vengono però troncate dalla Prima Guerra Mondiale: Weisz è costretto a militare nell’esercito austro-ungarico fino al 28 novembre 1915, quando viene fatto prigioniero e internato a Trapani, dove impara la lingua italiana.

Dopo la guerra riprende a giocare, ma presto deve emigrare a causa delle disastrose condizioni economiche in cui versa il suo Paese. Nell’anno 1923-24 viene notato dall’Internazionale di Milano, che lo ingaggia nel 1925. Si guadagna fin da subito il posto da titolare, ma alcuni problemi fisici lo fermano già l’anno successivo. Intuito il suo talento, però, la società gli propone di diventare allenatore, assecondando una vocazione innata.

L’inizio non è dei migliori (sebbene Weisz lanci una giovane promessa che farà la storia del calcio italiano, Giuseppe Meazza): prima un quinto, poi un settimo posto. Viene sostituito fino al 1929, quando Aldo Molinari (segretario dell’Ambrosiana-Inter) lo richiama ad allenare la squadra. Weisz ottiene il primo successo, uno scudetto vinto a soli 34 anni, dopo il quale pubblica insieme allo stesso Molinari Il giuoco del calcio, contenente straordinarie anticipazioni tattiche. Infatti, Weisz è il primo a studiare a fondo i movimenti dei giocatori – applicando quelli che molto tempo dopo verranno chiamati “schemi” – e la composizione delle loro diete, unitamente a carichi di lavoro elaborati ad personam. L’allenatore ungherese è innovativo anche dal punto di vista umano: autorevole ma mai autoritario, quando nota qualche errore invita il giocatore a pranzo a casa propria, suggerendo come correggersi in un’atmosfera conviviale.

Dopo due scudetti vinti con il Bologna, mentre sta avviando il terzo trionfo tricolore in quattro anni, l’artefice del più grande Bologna della storia sparisce per sempre di scena. Le leggi razziali del ‘38 lo costringono a lasciare l’Italia, direzione Parigi. Riceve un’offerta vantaggiosa dal Lilla, ma il timore che il nazismo possa giungere anche in Francia lo spinge a trasferirsi in Olanda, accettando di allenare il club di Dordrecht, una squadra quasi spacciata. Weisz compie un mezzo miracolo salvandola nella fase finale del campionato e portandola addirittura al quinto posto nel ‘40 e nel ‘41.

Il 10 maggio 1940 la Germania invade l’Olanda e non molto tempo dopo, il 2 agosto 1942, la Gestapo arresta Weisz e la sua famiglia. La moglie e i due figli sono subito uccisi in una camera a gas di Auschwitz-Birkenau, mentre l’allenatore viene dirottato ai lavori forzati nell’Alta Slesia. Deportato poi a propria volta ad Auschwitz, Arpad Weisz resiste fino al 31 gennaio 1944, quando muore di stenti dopo atroci sofferenze.

Tragica ironia della sorte, il 28 marzo 1946 il quotidiano del pomeriggio “Cronache Sera” diretto da Enzo Biagi scrive: «I tifosi bolognesi chiedono il ritorno di Weisz. […] Dapprima si trasferì in Olanda, ad Amsterdam, dove la maggiore compagine locale sotto la sua guida vinse il campionato olandese, poi fu chiamato in America. Dove sia ora non si sa, ma non dovrebbe essere impossibile rintracciarlo e proporgli di riassumere le funzioni di allenatore. Il Bologna avrebbe tutto da guadagnare».

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