Un verso, uno scatto di Polaroid

Una casa, un tizio, un angolo urbano illuminato dal sole: cose semplici, raccontate con parole comuni. E soprattutto con la lingua di tutti i giorni che però diventa riconoscibilissima e, paradossalmente, memorabile.

Per la nostra sezione Cultura, vi proponiamo oggi un ritratto della poetica dei Umberto Fiori, poeta nato a Sarzana nel 1949 e milanese d’adozione dal 1954. Dopo una laurea in Filosofia, dal 1973 entra a far parte del gruppo musicale Stormy Six, una delle principali realtà musicali del panorama rock-progressive di quel decennio.

Milano è l’habitat profondo di ogni sua esperienza e, di conseguenza, di ogni suo componimento. Pur non citandolo mai direttamente, l’autore trasforma il capoluogo lombardo in un universale metropolitano: palazzi, strade, piazze, facciate, binari, treni, individui e automobili – lì come ovunque e ovunque nelle sue poesie – per lui rappresentano l’anello di congiunzione tra le parole e il mondo, una cartina tornasole dello stato di salute dell’umanità.

Fiori sviluppa, pur assimilando un determinato tipo di scrittura poetica che rimanda ad autori come Sandro Penna, Vittorio Sereni, e Giovanni Raboni, uno stile del tutto personale: egli rifugge la specificazione di luoghi, personaggi e tempi ed elude aspetti soggettivi e individuali, utilizzando sistematicamente moduli locativi indeterminati: il tutto avviene in un presente senza apparenti definizioni in cui il filo rosso è la difficoltà di comunicazione tra gli esseri umani. Essa è considerata alla stregua di una malattia, quasi un tarlo che spinge l’uomo a cercare di prevaricare l’altro attraverso lo scontro verbale, arrivando all’estrema conseguenza del “parlare che separa”.

È proprio in questo momento di massima separazione che può avvenire il miracolo che rende improvvisamente tutto cristallino: il soggetto si riappropria della verità e la parola diventa strumento di effettiva realizzazione comunicativa. Il miracolo si realizza allo stesso modo quando un raggio di luce – un punto di rottura, uno squarcio nella monotonia –  illumina un muro o una facciata di un palazzo nel cuore di una città. Fino a quel momento, quel muro e quella facciata erano sinonimo di separazione ed ora, invece, acquistano una dimensione diametralmente opposta, incarnando unione e partecipazione.

Questo non è mai causato da eventi eccezionali, bensì da piccoli frangenti e imprevisti comuni: un faro visto da un treno, un riflesso su un vetro o lo squillo di un telefono sono la chiave per raggiungere la totale illuminazione, l’attimo di estrema verità.

Chiedendosi dunque quale sia l’unicità del poeta ligure, milanese d’adozione, si può affermare che sia proprio la capacità di mettere a fuoco micrometricamente questo attimo di sovversione in un verso, così come in uno scatto di quella vecchia Polaroid con la quale era solito passeggiare per le vie di Milano, nell’intento di congelare l’istante della perfezione.

Cultura
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sabato 27 Luglio 2024