Chiudi

Un'esperienza su misura

Questo sito utilizza cookie tecnici e, previa acquisizione del consenso, cookie analitici e di profilazione, di prima e di terza parte. La chiusura del banner comporta il permanere delle impostazioni e la continuazione della navigazione in assenza di cookie diversi da quelli tecnici. Il tuo consenso all’uso dei cookie diversi da quelli tecnici è opzionale e revocabile in ogni momento tramite la configurazione delle preferenze cookie. Per avere più informazioni su ciascun tipo di cookie che usiamo, puoi leggere la nostra Cookie Policy.

Cookie utilizzati

Segue l’elenco dei cookie utilizzati dal nostro sito web.

Cookie tecnici necessari

I cookie tecnici necessari non possono essere disattivati in quanto senza questi il sito web non sarebbe in grado di funzionare correttamente. Li usiamo per fornirti i nostri servizi e contribuiscono ad abilitare funzionalità di base quali, ad esempio, la navigazione sulle pagine, la lingua preferita o l’accesso alle aree protette del sito. Comprendono inoltre alcuni cookie analitici che servono a capire come gli utenti interagiscono con il sito raccogliendo informazioni statistiche in forma anonima.

Prima parte6

cm_cookie_cookie-wp

PHPSESSID

wordpress_test_cookie

wordpress_logged_in_

wordpress_sec_

wp-wpml_current_language

YouTube1

CONSENT

Scopri di più su questo fornitore

Google3

_gat_

_gid

_ga

Scopri di più su questo fornitore

“Narrare è resistere”, Martina Dei Cas e la storia di Angelito

Lo scrittore brasiliano João Guimarães Rosa sosteneva che “narrare è resistere”. Raccontare una storia significa sottrarla all’oblio e spesso permette di creare una comunità sensibile nei confronti di temi importanti, come ad esempio i diritti umani. Così è successo con la storia di Angelito, raccontata dalla giornalista e scrittrice alense Martina Dei Cas, classe 1991, nel libro “Angelitos” (2019).

È il 2015 e Martina sta preparando una tesi di laurea di diritto comparato sul femminicidio in America Latina. Navigando in internet, s’imbatte nella foto di un bambino morto. Quel bambino è Ángel Escalante Pérez, gettato dal ponte più alto di tutto il Guatemala perché si era rifiutato di sparare all’autista di un autobus. Un rito, questo, che avrebbe sancito il suo ingresso in una gang.

«Continuavo a guardare i telegiornali italiani – racconta Martina – sperando che qualcuno ne avrebbe parlato, ma non succedeva mai. Allora mi sono ripromessa che avrei raccontato la storia di Angelito a tutte le persone a cui volevo bene».

Dopo due anni di ricerche, nel 2017 Martina parte per il Guatemala assieme al regista Luca Sartori e al fotografo Francesco Melchionda. «A Città del Guatemala – spiega – abbiamo intervistato il papà di Angelito e alcuni ragazzi entrati a contatto con le gang. Così è nato “Angelitos”, che ha ricevuto il patrocinio di Amnesty International Italia e del Centro per la Cooperazione Internazionale di Trento».

Com’è nata la tua passione per la scrittura?

«Ho sempre amato leggere. Arrivata alle superiori, alla passione per la lettura si è affiancata quella per la scrittura. Ho partecipato al Sipario d’Oro, un concorso che offre la possibilità di andare a teatro se poi ci s’impegna a scrivere una recensione. Da quel momento ho cominciato a partecipare a diversi concorsi letterari. In prima superiore, dopo essere stata un mese a Parigi, è nato il mio primo libro, “Una stravagante mattinata a Operà”. All’università, grazie al progetto Giovani Solidali, sono finita in Nicaragua, a Waslala, una cittadina dove si coltivano il cacao e il caffè. Lì mi sono occupata dell’istruzione di donne e bambini, e ho conosciuto tante ragazze che alla mia età avevano già dei figli. Tante di loro lavoravano nei campi e la domenica frequentavano la scuola per prendere un diploma. Il loro coraggio, discreto ma straordinario, ha fatto nascere un altro libro, “Cacao amaro”, e il progetto “Un libro per una biblioteca”, che fornisce il materiale didattico ai bambini del Nicaragua rurale e che prosegue ancora oggi grazie ai fondi raccolti attraverso un altro libro che ho scritto dopo il mio secondo viaggio in Nicaragua, “Il quaderno del destino”.»

“Angelitos” è stato accolto molto positivamente. Qual è il commento che ti ha fatto più piacere?

«La cosa più bella è vedere che, nonostante le difficoltà di questo periodo, ci sono delle persone che hanno voglia di conoscere la storia di Angelito. Il padre, don Luis, mi ha detto: “La prima volta l’hanno ucciso le bande, la seconda lo Stato. Con questo libro, invece, tu e tutte le persone che lo leggono impedite che venga ucciso una terza volta, con l’oblio.»

La scrittura, quindi, può aiutare la causa dei diritti umani?

«Penso che sia fondamentale. Le parole tante volte proteggono più delle armi. È importantissimo scrivere e parlare di queste storie, perché è l’unico modo che abbiamo per ricordare ai politici il loro dovere di tutelare i diritti umani. Non si può delegare tutto a costituzioni, trattati e organismi speciali. Difendere i diritti umani è compito di tutti noi. Nel mio piccolo, lo faccio anche a livello locale, perché sono volontaria di Prodigio Odv, che cerca di raccontare la disabilità attraverso un progetto di giornale (pro.di.gio).»

Cultura
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

venerdì 29 Marzo 2024