La “mia” Francesca Alinovi

Il mio primo incontro con Francesca Alinovi è avvenuto mentre cercavo del materiale per documentarmi sul graffitismo. È stato grazie a un’indicazione del prof. Roberto Pinto che trovai il catalogo della mostra Arte di frontiera. New York graffiti, svoltasi a Bologna tra il marzo e il maggio del 1984 [Fig.1-2] presso la Galleria di Arte Moderna. I curatori e colleghi della Alinovi, Roberto Daolio e Marilena Pasquali, portarono a termine l’organizzazione dell’esposizione, vista la sua prematura e violenta scomparsa avvenuta l’anno precedente.

[Fig.1]

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[Fig.2]

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Sfogliando questo catalogo rimasi colpita dal modo in cui veniva trattato il graffitismo, abituata com’ero ai manuali in cui questo movimento era descritto solo marginalmente. La Alinovi seppe descrivere l’energia dei graffitisti, paragonandoli a dei geyser per il loro ingresso irruente nel mondo dell’arte tradizionale, e riconobbe nei loro prodotti l’arte più originale di quel momento. Francesca Alinovi coniò così il termine “arte di frontiera” ritenendolo più appropriato rispetto a “graffitismo”, poiché metteva in risalto la sua posizione di confine tra città e periferia, tra arte e non arte.

Alinovi divenne un baluardo femminile nel mondo della critica d’arte anche per la sensibilità con cui si avvicinava all’insondato, andando sul campo non curante dei pericoli. Gli stessi graffitisti la ricordano con affetto perché ebbe il coraggio, pur essendo donna e per di più bianca, di andare personalmente nel Bronx, parlare faccia a faccia con loro e capire le loro motivazioni più intime. Per questo la ricordano con nostalgia: era l’unica a non porsi su un piedistallo, bensì cercava di capire lo spirito del movimento.

Nei confronti del graffitismo la Alinovi aprì una nuova strada in Italia, con i suoi saggi, articoli e interviste agli artisti. Sulla base di tutto questo, i suoi colleghi decisero di omaggiare i suoi sforzi e suoi studi, portando a termine la sua idea di mostra itinerante, che dopo Bologna venne presentata a Milano e a Roma. Tra gli artisti invitati a esporre c’erano A One [Fig.3], Ahearn [Fig.4], Daze [Fig.5], Holzer [Fig.6], Ladda [Fig.7] e Rammellzee [Fig.8]. L’esposizione contribuì a provare lo spirito anticipatore della Alinovi nel mondo della critica d’arte.

[Fig.3]

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[Fig.4]

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[Fig.5]

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Oggi il graffitismo fa parte della storia dell’arte, nonostante le sue forme non rispettino ancora i canoni tipici dell’arte classica. Questa diversità era dettata per lo più dal forte legame con i movimenti sociali, che vi trasfondevano la propria energia. Il progressivo distacco da questi e dalla cultura hip hop ne ha però comportato la diminuzione della carica innovativa. L’eredità del fenomeno dell’arte di frontiera è stata tuttavia conservata ed è in perenne cambiamento: esauriti gli stili, i graffitisti hanno dovuto ridefinire il mezzo e il contenuto, cercando una coscienza e un obiettivo più alti. Li hanno trovati ad esempio nelle collaborazioni urbane, come la riqualificazione di quartieri degradati e abbandonati grazie agli interventi sugli edifici.

[Fig.6]

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[Fig.7]

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[Fig.8]

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Cultura
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sabato 27 Luglio 2024