“Hamburg Demonstration”

Recensione all’album di Peter Doherty

Questo articolo fa parte del laboratorio Scrittori di classe

La maturità dell’ultimo poeta maledetto del rock? Peter Doherty, il frontman dei Libertines e dei Babyshambles, è l’esempio più lampante del nuovo millennio di divo sopraffatto dagli eccessi, idolo indiscusso dei giornalisti che si occupano di tabloid e di titoli scandalistici. Ma, a quanto pare, tutto ciò è stato archiviato e Pete oramai è un uomo sobrio che è tornato a comporre con regolarità.

Pete Doherty

A poco più di un anno dal più o meno apprezzato ritorno dei Libertines torna a circolare il nome di Peter Doherty, ma non sulla copertina di qualche rivista scandalistica come ci ha abituati il “promettente ragazzo”, bensì sulla cover del suo nuovo album da solista. Hamburg Demonstration è infatti il successore di Grace/Wasteland, opera che ormai ha più di sette anni, e ne mantiene gli stessi toni da crooner e la stessa musicalità che tanto si distaccano dal punk dei Libertines.

Le prime note dell’album sono della plurilingue Kolly Kibber, in pieno stile Grace/Wasteland. Il secondo brano è Down for the Outing, ballata nella quale il riff di chitarra, unico vero elemento di forza del pezzo, si fa molto apprezzare. A sconvolgere le carte in tavola è Birdcage, duetto con Suzie Martin molto appassionante. Si sa, Doherty è da sempre vicino a tematiche quali la guerra (basti ricordare quando lesse Suicide in the Trenches di Siegfried Sassoon durante l’assegnazione dell’NME Awards nel 2004) e non stupiscono canzoni come Hell to Pay at the Gates of Heaven, in cui si approccia in modo sarcastico ad un presunto giovane terrorista.

Da qui in poi l’album cresce di livello con Flag of Old Regime, tributo alla vecchia fiamma Amy Winehouse, e Oily Boker, ma soprattutto con I Don’t Love Anyone (but You’re Not Just Anyone), intonata sulle note della canzone popolare Johnny Comes Marching Home Again, sonetto elementare ma gradevole, un gradino sopra gli altri pezzi. L’album comprende anche una sua seconda versione accompagnata da dolcissimi violini che tanto evocano Parigi, città dove Peter abita. Molto bella, infine, la folkloristica The Whole World Is Our Playground.

L’Album, benché gradevole, lascia un po’ d’amaro in bocca a chi come me si era fatto sopraffare dalla foga. Le canzoni risultano un po’ piatte e, fatta eccezione forse per I Don’t Love Anyone (but You’re Not Just Anyone), vera perla dell’album, nessuna riesce a lasciare il segno. Ma, convengono con me tutti i recensori, l’operato sembra serio e lascia ben sperare per il futuro di Doherty, dei Libertines e, chi lo sa, forse anche dei Babyshambles. Il lavoro per me merita la sufficienza piena e forse qualcosa in più.

Cultura, Scrittori di classe
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giovedì 7 Novembre 2024