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Champagne in platea. Recensione del film-opera “La Traviata” (2021).

L’Opera di Roma è stato uno dei primi e più attivi teatri a riconvertire parte del proprio cartellone per la televisione. Anche quest’“opera-film” è quindi una vera e propria produzione operistica in teatro, che raggiunge il pubblico tramite la mediazione della telecamera.

La regia di Mario Martone gioca, come altri spettacoli in tempo di Covid, con gli spazi lasciati deserti dal pubblico: nella festa del primo atto, i convitati bevono champagne in platea, conversano sulle scale, si appartano nei palchetti. Suggestiva la scena in cui i cappotti maschili degli invitati vengono gettati sul letto, forse anche obliqua allusione ai tanti amanti della protagonista.

Per il resto, la regia resta nell’alveo della tradizione. La ricostruzione della Parigi di metà Ottocento è in fondo, per il regista come per il pubblico, sempre un bel tuffo di immaginazione. Purtroppo, però, questo ci condanna ad approcciarci alla Traviata sempre con un gusto rétro, facendoci dimenticare la scelta caparbia e rivoluzionaria di Verdi di portare in scena un dramma contemporaneo, ambientato al suo tempo e non in un’epoca remota.

Veniamo alla storia. Violetta è una cortigiana, una parvenue, accolta nell’alveo dell’alta società in cambio di favori sessuali. In quel mondo Violetta sa muoversi pienamente a suo agio, nella volontà di divertirsi e di gioire il più possibile. O forse no? Forse, anche quando canta il famoso “Sempre libera”, inno del suo edonismo, Violetta è intimamente scontenta e insoddisfatta della sua vita?

Comunque stiano le cose, Violetta mollerà tutto, folgorata dall’amore per Alfredo. L’idillio dura poco, perché il padre di Alfredo, Giorgio Germont, impone a Violetta di troncare la relazione. Germont gioca le sue carte in modo abile e subdolo. Violetta fa resistenza, ma poca, troppo poca, e accetta di sacrificarsi per il bene della famiglia di Alfredo. La società perbenista si sarà certamente rivista nell’invito che Germont rivolge a Violetta: “siate di mia famiglia l’angiol consolator”. Angelo consolatore, dato che “angelo del focolare” Violetta non lo può essere, dato il suo passato di cortigiana. Violetta è completamente prostrata non solo alla richiesta, ma anche alla morale di Germont, la cui retorica del sacrificio Violetta accetta e interiorizza.

Alfredo nel frattempo scopre che Violetta ha speso parecchi soldi per la loro vita insieme, e che Violetta ora, improvvisamente, lo lascia. La collera e la gelosia per questo secondo fatto sorpassano la vergogna per non essersi accorto del primo. Il mix di sentimenti tossici sfocia nella scena della festa. Alfredo, davanti a tutti i convitati, dice di avere dei debiti con Violetta e le getta addosso i soldi vinti al gioco: “qui testimoni vi chiamo, ch’ora pagata io l’ho”.

Il terzo atto combina il convenzionale romantico (l’eroina che muore e si sacrifica per amore) e il moderno (un atto che si svolge tutto in una camera da letto). Il finale, come spesso in Verdi, cala come un’accetta: Violetta muore di tubercolosi, dopo un’illusione di repentino miglioramento, che le fa esclamare: “Ah! io ritorno a vivere!… Oh gioia!”

Per quanto riguarda la riuscita musicale dello spettacolo, purtroppo non è stato del tutto all’altezza delle aspettative. Per quanto apprezzabile lo sforzo del direttore d’orchestra Daniele Gatti di fare scelte stilistiche anticonvenzionali, i tempi staccati sono spesso troppo rapidi. Ne risulta penalizzata soprattutto la protagonista, impersonata da Lisette Oropesa, che pure dimostra assoluto dominio tecnico della parte.

Ma forse, dal vivo, sarebbe suonato tutto diverso.

“La traviata”, prodotta dal Teatro dell’Opera di Roma e trasmessa il 9 aprile 2021 su Rai 3, è disponibile su Rai Play.

Cultura
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