“Better Call Saul”, una grande serie

Se c’è una cosa che accomuna quasi tutti i figli d’arte, questa è l’ansia da prestazione. Chi ha dei genitori famosi e importanti non si sentirà mai del tutto libero di seguire la propria strada: avrà sempre il peso delle aspettative altrui a seguirlo come un’ombra. In un certo senso è il caso di Better Call Saul, serie spin-off di Breaking Bad dedicata all’avvocato Saul Goodman. Quando AMC ne annunciò la produzione, ormai sette anni fa, i fan di Walter White e di Jesse Pinkman non ne sembrarono entusiasti; Breaking Bad è un capolavoro, una delle migliori serie che la televisione americana abbia mai prodotto, e il rischio di rovinarne la reputazione o di guastarne l’epica era veramente molto alto. Bastava pochissimo. E invece.

Invece Better Call Saul ha incredibilmente tenuto botta. La firma di Vince Gilligan e di Peter Gould del resto è una garanzia che è stata ingiustamente sottovalutata. Pur coinvolgendo nella trama alcuni personaggi di Breaking Bad (Mike Ehrmantraut e Gus Fring su tutti), lo spin-off si regge divinamente sulle proprie gambe. Il paragone con la “serie madre” non ha alcun senso, perché si tratta di due prodotti diversi, che raccontano storie diverse con caratteristiche – sia tecniche, sia narrative – diverse. C’è però un aspetto della trama che accomuna le due storie: se la serie originale racconta la trasformazione di Walt da innocuo insegnante a efferato criminale, Better Call Saul racconta la discesa agli inferi di Jimmy McGill, alias Saul Goodman.

Saul rappresenta per Jimmy ciò che Heisenberg era per Walt: un alter ego che opera in una “zona grigia” morale che, col passare del tempo, sfocia sempre più nel crimine, avvelenando la coscienza del personaggio. Qui emerge tutto il talento di Gilligan e Gould, i quali si sono specializzati – e si vede – nella scrittura di round characters, ovvero di personaggi complessi, dalla personalità stratificata e ricca di tante e diverse sfaccettature. Mentre molte altre serie si accontentano di personaggi “piatti”, statici e ampiamente prevedibili, il grande punto di forza di questo piccolo gioiello è la capacità di saper modellare i protagonisti a proprio piacimento (senza perdere di credibilità) per condurli lungo un percorso accidentato, mai banale, che li porterà inevitabilmente a un cambiamento interiore ed esteriore.

Accade a Jimmy/Saul, a Kim Wexler, persino ad Howard Hamlin, la cui vita apparentemente perfetta e patinata finisce per piombare nel baratro. A questo si aggiungono una rara perfezione compositiva attenta al più piccolo dettaglio e una fotografia notevole, in grado di regalare inquadrature indimenticabili.

Better Call Saul non avrà l’esplosività e il ritmo delle ultime due stagioni di Breaking Bad, ma arrivati in fondo alla sesta e ultima stagione, ascoltando l’arringa finale di Jimmy McGill, la sensazione di aver appena concluso una grande serie è netta e limpidissima.

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sabato 27 Luglio 2024