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Ci sono un bambino, un compito e una maestra. Arriva l’errore con un che di meravigli-oso. La maestra lo coglie e l’Accademia della Crusca lo ac-coglie, purché diventi di uso comune. Guarda caso, esistono i social network che, a prescindere dai commenti contrari o favorevoli degli utenti del web nei confronti della notizia, diffondono: #petaloso, hashtag petaloso, hashtag…
Da espediente pedagogico ed educativo di un’insegnante che vuole trasmettere agli alunni l’importanza del “chiedere” portando avanti le proprie idee, il nuovo termine diventa minaccia linguistica. Così la lettera di risposta della Crusca, pur essendo a misura di bambino, entra nel mirino: a chi non è mai capitato di inventare un neologismo? Con le parole si può giocare di proposito; e lo sa bene chi si occupa di pubblicità: pensiamo per esempio allo spot dove Banderas introduce il termine ‘inzupposo‘ aiutando una ragazza a descrivere i “nuovi biscottoni del Mulino Bianco”. Quindi perché accettare “petaloso” piuttosto che “inzupposo”?
C’è da dire che ‘petaloso’ ha superato gli accertamenti della Crusca aggiudicandosi, a livello teorico, la pertinenza col sistema linguistico italiano: pur dando solo una scintilla di incoraggiamento ad un piccolo essere umano, l’Accademia ha forse sottovalutato la possibilità che la parola potesse attecchire virtualmente… Il lessico di una lingua è un sistema aperto in quanto subisce naturalmente delle variazioni nel corso del tempo; tuttavia arricchirlo hic et nunc grazie ai social significa avviare un processo di costruzione istantaneo a cui tutti potrebbero partecipare da protagonisti. Siamo forse di fronte all’inizio di una lingua fai da te?
Se scorriamo le notizie di questi giorni, leggiamo nell’articolo di Monia Sangermano che la parola del piccolo Matteo in realtà era già stata inventata da James Petiver, botanico e farmacista. Egli definì “petaloso” il fiore del peperoncino nel suo trattato di specie animali, vegetali e fossili, il Centuriae Decem Rariora Natura (scritto tra il 1693 e il 1703). L’autore lo usò perché era convinto si trattasse di un termine esistente in latino, invece fu un errore e come tale venne considerato. Questo avvenne oltre tre secoli fa. Il nostro presente, invece, è caratterizzato da azione e dinamicità: dove i life coach, e perché no, le maestre intraprendenti, ci insegnano a trasformare un errore in un punto di forza sfruttando la creatività.
In questo caso però, da una parte la creatività è una risorsa, dall’altra entra nella foresta dei social sotto forma di nuovo e accettabile segno linguistico che stiamo inconsapevolmente collaudando mentre siamo impegnati ad accaparrarci like nel dire la nostra a riguardo. È prendendo coscienza di queste dinamiche che siamo veramente chiamati a riflettere: fino a che punto la creatività può interagire con le fondamenta di una lingua cambiandone il dizionario?
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mercoledì 22 Marzo 2023