Stiamo davvero lavorando in modalità smart working? – Valentina Federica Zeni
Smart working, tradotto in italiano con “lavoro agile”, è un concetto utilizzato in ambito business per indicare una modalità di lavoro non vincolata da orari o da luogo di lavoro, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro.
Fino a pochi anni fa si parlava di lavoro da remoto o telelavoro: le proprie mansioni venivano svolte in un luogo diverso dall’ufficio. Gli strumenti? Una connessione internet, un PC, una sedia ed un tavolo. Lo smart working, però, non è semplice “home office”.
Dello smart working esiste una vera e propria definizione, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Legge 81/2017, che definisce questa pratica come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Si tratta, dunque, di un approccio innovativo che, grazie alle nuove tecnologie, riprogetta l’organizzazione del lavoro, mettendo in discussione tutti i vincoli tradizionali, dallo spazio fisico, agli orari predefiniti e agli strumenti di lavoro, alla ricerca di nuovi equilibri fondati su una maggiore autonomia ma anche su una maggiore responsabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori sui risultati.
Lo smart working è, inoltre, una modalità lavorativa che può essere adottata dalle aziende in casi di emergenza, come quella che sta interessando l’Italia per la diffusione del Coronavirus. Nelle aree colpite dall’epidemia, moltissimi lavoratori hanno continuato a svolgere la propria attività da casa, per ridurre al minimo le possibilità di contagio. Fino al 31 luglio 2020, in deroga alla disciplina ordinaria, è infatti possibile applicare lo smart working in via provvisoria, anche in assenza di sottoscrizione dell’accordo individuale. E se questo ha salvato dalla chiusura totale numerose aziende e ha garantito la continuità dei servizi essenziali, quello che milioni di persone stanno sperimentando in queste settimane non può essere definito “lavoro agile”.
In molti casi, essendo mancata una preventiva formazione, sia a livello manageriale che dei lavoratori dipendenti, ed essendo venuta meno la facoltà di decidere il luogo di lavoro, lo smart working è stato convertito in telelavoro, con orari assegnati. Questo è accaduto perché in pochi erano preparati a questo passaggio, sotto tutti i punti di vista. Non eravamo pronti a livello tecnologico: in quanti, ad esempio, possiedono una stampante, un monitor ed una tastiera esterni? Non eravamo pronti neppure a livello mentale. Il passaggio dall’ufficio all’abitazione ha messo in moto una valanga di comunicazioni digitali, che rischia di travolgere i lavoratori, cancellando la divisione tra tempi e spazi di lavoro e di vita.
Il diritto/dovere alla disconnessione, non è semplice da applicare, sia perché la maggior parte dei dipendenti non è abituata a lavorare con obiettivi ed in autonomia, sia perché alcuni datori di lavoro non sono stati in grado di adeguare le modalità di verifica delle prestazioni in questo senso. Insomma, senza un adeguata formazione, lo smart working straordinario, è diventato una fonte di stress per molti.
Una diversa organizzazione del lavoro, che porti ad una maggiore efficienza dello stesso, un incremento della sostenibilità ambientale e, conseguentemente, vantaggi in termini di conciliazione: questi dovrebbero essere gli scopi dello smart working, e queste dovranno tornare ad essere le sue finalità, una volta rientrata l’emergenza sanitaria.
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sabato 5 Ottobre 2024