L’informazione è una retta infinita
Le vicende delle migliaia di persone provenienti da svariati paesi che cercano disperatamente di raggiungere Lampedusa giungono a noi raccontate dai quotidiani, dalle televisioni, da internet. Ma quanto questo racconto è funzionale a trasformare un fatto in notizia? Qual è lo scopo che si pone colui che ci informa nel momento in cui deve/vuole raccontarci una storia, presumibilmente vera dando per scontato che chi scrive abbia verificato le fonti delle sue informazioni?
Una domanda che è divenuta preoccupazione durante la crisi degli sbarchi che ha investito l’Isola di Lampedusa nel 2011. Allora a sbarcare erano, in particolar modo, i tunisini in fuga dal loro paese oramai allo sbando dopo la deposizione di Ben Alì. In seguito vennero gli egiziani e i libici. Oggi è la volta dei siriani. In mezzo a loro una costante costituita dalle tante persone provenienti da quei stati della cosiddetta Africa Sub-sahariana, vale a dire Benin, Burkina Faso, Nigeria, Sierra Leone e altri.
La seconda costante del racconto è lo scenario, Lampedusa, palcoscenico di un dramma umano che improvvisa sullo stesso canovaccio gli atti di una tragedia che hanno come capisaldi le parole: immigrati, clandestini, Bossi-Fini, lampedusani, Europa, sbarchi, emergenza, carrette del mare, morti, CIE, Premio Nobel.
Il risultato di questa equazione è sempre la stessa notizia: 1) Lampedusa, Isola dove sbarcano immigrati che vengono chiusi nei CIE in quanto clandestini perché così prevede la Bossi-Fini, a meno che non venga concesso loro lo status di rifugiato; 2) un’Europa che ha deciso di legarsi le mani tramite i trattati, usati come alibi per poter lamentarsi della crisi umanitaria senza poi far nulla; 3) i lampedusani usati dal Governo italiano per lamentare il rischio del crollo dell’ordine sociale su tutto il territorio nazionale, salvo poi farsi belli quando c’è da chiedere l’assegnazione del premio Nobel per la Pace all’Isola e ai suoi abitanti per la grande generosità e umanità dimostrata in questi anni.
Tutto ciò, tutta questa narrazione, è un infinite loop che alimenta un’opinione pubblica stabile e “stabilizzata” sul medesimo messaggio da diversi anni che svela quanto lo scopo del sistema dei principali mezzi d’informazione non sia tanto contribuire alla costruzione dell’opinione pubblica, ma di, letteralmente, controllarla a suo uso e consumo.
Ecco perché si stanno affermando nuove forme di informazione partecipata che non si pongono l’obiettivo di creare un prodotto, ma di informare e basta e di creare opinione pubblica attraverso la socializzazione degli eventi, ponendosi quindi alla pari con chi cerca informazioni responsabilizzando questi ultimi a confrontarsi, a chiedere conto delle fonti, a discutere sull’utilità o meno di una data informazione.
Questa orrizontalità pone altre sfide, prima tra tutte la qualità dei contenuti e l’indipendenza dalla folla di Le Bon, ma le sfide o vanno affrontate o ti superano portandosi dietro il resto del mondo.
L’informazione dovrebbe essere libera ed autonoma, fonte di criticità e creazione di oppinione fra la popolazione. Ciò però non accade e ci troviamo difronte ad una forma di informazione controllata volta a sviare le masse, inculcando messaggi di comodo. Chi è più libero riesce a svincolarsi dalle canoniche vie di informazioni e trova altre fonti.
io credo che il quarto potere – l’informazione – debba sempre mantenersi indipendente al pari degli altri poteri in modo da continuare a fare il proprio dovere. Se viene asservita fa un cattivo compito? Non è detto. Talvolta migliore perché ha le risorse…ma fuori tema.