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E allora mangiamo un bambino su tre

Si parla sempre di disoccupati e di precari, di quella massa di adulti del terzo millennio contro cui l’economia mondiale ha bellamente alzato il dito medio. Ma i ‘figli della recessione’, letteralmente parlando, non sono loro. Nello studio Innocenti Report Card l’Unicef ha analizzato l’impatto della crisi sul benessere dei bambini nei 41 Paesi più ricchi del pianeta. Ne è uscito che negli Stati più ricchi, ci sono 76,5 milioni di bambini che vivono in povertà. Come recita il report, «sono i bambini a soffrire maggiormente e a subire le conseguenze più a lungo termine». Sì, perché se anche il ristagno economico svanisse miracolosamente in una nuvoletta azzurra, la crisi che ha colpito i figli della recessione proseguirebbe ben oltre la pura emergenza economica.

Dal 2008 in avanti, quasi tutti i Paesi hanno apportato tagli importanti: spesso l’austerity è stata una scelta obbligata. Ma se è lecito chiedere al mondo degli adulti di stringere i denti, quanto lo è imporre la stessa cosa ai bambini, mettendo così a rischio un’intera generazione? Guardando al caso italiano, nel rapporto si legge che sono ben 619mila i bambini diventati poveri dal 2008 ad oggi. Diventati, ovvero nuovi poveri che si sono sommati a quelli già “fisiologicamente” presenti. Così la povertà infantile in Italia è passata dal 24,7% al 30,4%: un bambino su tre. Dati alla mano, l’Unicef non ha potuto che puntare il dito contro quei Paesi in cui le misure adottate sono state tutt’altro che efficaci: «se le politiche di tutela fossero state più solide prima e fossero state rafforzate durante la recessione, si sarebbero potuti aiutare milioni di bambini in più».

Insomma, di fronte al baratro economico, ai bambini si è pensato ben poco. Paradossalmente, maggior attenzione è stata rivolta agli anziani: in 24 Paesi «i livelli di povertà sono scesi fra gli anziani, mentre fra i bambini sono aumentati in 20 Paesi, il che evidenzierebbe come i meccanismi di tutela degli anziani siano più efficaci rispetto a quelli nei confronti dei giovani». Senza voler mancare di rispetto ai senior e senza promuovere il mors tua vita mea, appare illogico per una società che guarda al domani non investire su chi rappresenta il futuro. Come se, per far sopravvivere il gruppo dominante, si falciasse quello nascente. Che è un po’ quello che scriveva Jonathan Swift nell’allegoria macabra A Modest Proposal: per eliminare la piaga della povertà, l’irlandese proponeva di mangiare i petulanti bambini del proletariato. In questo capolavoro dell’assurdo, steso con feroce pacatezza, i bambini dovevano essere venduti «ad un anno di età alle persone benestanti e d’alto rango di tutto il Regno, consigliando sempre alle madri di farli succhiare in abbondanza nell’ultimo mese, così che diventino ben grassi e paffuti per un buon pranzo»*. In un solo colpo, meno bocche da sfamare, facili guadagni, più matrimoni, miglioramento dell’arte culinaria. Per il bene del Regno!

* J. Swift, Una modesta proposta per evitare che i figli dei poveri siano di peso ai loro genitori al paese e per renderli utili alla società, Stampa alternativa, p. 13.

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