Se il tatto potesse parlare
Sono dal mio parrucchiere di fiducia. In questo preciso istante realizzo che lo è perché − oltre ad adorare la sua affascinante pazzia artistica nel modellarmi la chioma − mi piace incredibilmente il modo in cui mi lava i capelli. Prima li sciacqua con acqua tiepida, li rende schiumosi con il suo “shampoo-lucentezza-e-gustofragola-sarai-bellissima-dopo” e poi aggiunge la vera magia: le sue mani. Comincia a insaponarmi la testa con dolcezza e io, che sono lì scomoda con il collo incastrato in quel lavandino e seduta su di una poltrona decisamente troppo grande per me, sento solo quel tocco delicato, i suoi polpastrelli dai movimenti morbidi. Già mi sto pregustando il balsamo o lisciante, felice che ci sia un secondo giro per risentire ancora quella sensazione, quando…
Zac! Cambio di scena.
Lui, il folletto della pace dei sensi, viene chiamato da una cliente che è indecisa sullo shatush (l’ultimo grido in fatto di decolorazione dei capelli) e mi affida alla sua collega. Altre mani, altro tocco. Lei passa dai polpastrelli a quella parte delle dita che sta fra i polpastrelli e le unghie. Non posso dire che mi stia graffiando, questo no, ma sento una certa foga, i movimenti a scatto ed energici, probabilmente per far assorbire meglio quel prodotto. È molto attenta alla riuscita dell’operazione perché cerca continuamente di coprire ogni angolo del capo, ripassando più volte sullo stesso punto e regalandomi una nuova ventata del suo tornado.
Sento rabbia in questa seconda mano, sento la preoccupazione di dover fare nel migliore dei modi il compito affidatole, ma allo stesso tempo l’ansia di non farcela. Dal modo in cui passa e ripassa sullo stesso punto della testa percepisco tanta confusione e questo tocco, purtroppo, mi indispone, mi agita. Quello del mio parrucchiere invece (wow!) era pura serenità e calma e mi faceva, magicamente, sentire in pace a mia volta.
Mi estraneo e mi sorprendo di come le emozioni si sviluppino anche attraverso il senso del tatto. 26 anni di inconsapevolezza! E pensare che il tatto è il primo senso a svilupparsi a livello embrionale e la pelle è l’organo più esteso del corpo umano (da 1,5 a 2 m²) .
Penso, quindi, a quanto potrebbe cambiare se ci dicessimo cosa ci fa sentire il tocco dell’altro. Potrebbe darsi che così facendo diventerebbero esplicite alcune cose prima non visibili. Ci potremmo fare da specchio. Ovviamente questo gioco non avrebbe sempre garanzia di successo, ma ci sentiremmo, di sicuro, più autentici, liberi dalle convenzioni e dalle maschere. Come d’incanto, sarebbero le parti più profonde di noi ad incontrarsi e, personalmente, è proprio questo punto nevralgico, l’essenza dell’altro, ad interessarmi. Il resto, sono solamente parole e cose di poco conto.
Dentro di me accade allora qualcosa. Un viaggio, un pensiero veloce fuori dal mio controllo, tanto che non saprei nemmeno esplicitarlo bene a parole, mi fa riaffiorare un dolce ricordo: ero bambina e i capelli da sola ancora non me li sapevo insaponare.
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