Intervista a Ilaria Gaspari: “La voce delle emozioni”

Della sfera emotiva, della sua voce, forza e importanza parlerà questa sera Ilaria Gaspari, scrittrice e filosofa, al Teatro parrocchiale di Vigolo Vattaro, nell’ambito della rassegna Agosto Degasperiano 2022 – Custodi del Fuoco. Abbiamo avuto l’occasione di porle qualche domanda proprio sul mondo – spesso segreto – delle emozioni.

Le emozioni, come si apprende anche dal titolo del suo intervento di questa sera, possiedono una voce. Ma nei confronti di ciò che proviamo, anche noi abbiamo, come si suol dire, “voce in capitolo”, o sono sempre le emozioni a parlare al posto nostro?

Naturalmente abbiamo voce in capitolo anche noi; il fatto è, però, che la nostra voce è fatta anche di tutte le emozioni che ci attraversano, delle tracce che lasciano dentro di noi, che ne siamo consapevoli o no. I nostri comportamenti, le nostre scelte, sono influenzati e determinati in profondità dalle nostre emozioni: e siccome è sulle scelte e sui comportamenti che si appunta la nostra libertà di determinarci, più siamo consapevoli del peso e dell’entità, del tono delle nostre emozioni – più, in altre parole, siamo disposti ad ascoltarne la voce – più saremo, realmente, liberi. È una riflessione, questa, che con molta chiarezza ha formulato Spinoza, in pieno Seicento, il primo filosofo a liberare il sentire dalla condanna alla passività. Spinoza si rende conto che noi conosciamo il mondo anche attraverso l’esperienza affettiva, l’esperienza emotiva; e che non dobbiamo contrapporre una ragione scevra di ogni influsso emozionale alla forza di gravità del corpo, che ci intralcia e ci impedisce di conoscere, di comprendere, di perfezionarci. Al contrario, le nostre conoscenze, la nostra esperienza del mondo, è arricchita da quello che sentiamo; e più chiaramente lo comprendiamo, più sarà difficile che le passioni ci dominino, come succede invece quando ci sforziamo di reprimerle, di soffocarle, e lasciamo che si trasformino, dunque, nella più primordiale e potente delle passioni tristi: una paura senza volto e senza nome.

Spesso le emozioni sembrano sfuggire alle parole, così come a un confine netto tra una definizione e l’altra. È possibile “etichettare” ciò che si prova, superando sia l’analfabetismo, sia il confine labile? E se lo è, quanto e quando è opportuno farlo?

Superare l’analfabetismo emotivo non significa schedare rigidamente le proprie emozioni, ma abituarsi a parlarne, a raccontarle, in una maniera che ci emancipi dalla paura del giudizio, dalla vergogna, dal senso di inadeguatezza rispetto a un paradigma di emotività “ideale”, che non esiste. Esistono le nostre emozioni, e sono sfumate, ambivalenti, mescolate: come i colori, è molto difficile che le vediamo nella loro purezza primaria, molto più spesso ci appaiono in mescolanze pigmentate. Niente, nella vita, esiste in forma completamente pura: siamo tutti frutto di contaminazioni, siamo, noi stessi, mescolanza e contaminazione di elementi. Per questo, parlare di emozioni non significa ridurle a definizioni rigide, ma prendere consapevolezza del loro aspetto cangiante, qualche volta contraddittorio; per farlo, io credo, un aiuto importantissimo ci viene dalle arti, dalla letteratura, dai modi in cui, nel tempo, donne e uomini hanno cercato di raccontarle, di esprimerle, di trasmetterle. La letteratura, così come la filosofia, ci aiuta a vivere perché ci offre un patrimonio di pensieri, di parole, di etimologie; tutti gli strumenti che ci servono per dire davvero le cose, quelle che si possono dire, e per fare, anche del silenzio intorno a quelle indicibili, una forma di comprensione.

Sempre parlando di emozioni, quanto è importante imparare a condividerle, soprattutto nel rapporto con gli altri?

È molto importante, secondo me, perché ci permette di esercitare la fiducia: la fiducia è poterci mostrare vulnerabili senza aspettarci, in risposta, la violenza. È un esercizio che richiede un salto nel vuoto, ma sicuramente ci fa vivere in maniera più piena. Penso che sia importante considerare la condivisione delle emozioni, però, nei due sensi in cui può procedere: le nostre emozioni e quelle degli altri entrano in un rapporto circolare, si parlano. Solo se è reciproca, la condivisione è reale: altrimenti si tratta solo di esibizionismo.

Lei ha scritto un libro dal titolo “Lezioni di felicità”. La tanto agognata felicità è dunque qualcosa che si può imparare? Soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui siamo giornalmente circondati quasi solo da brutte notizie?

In realtà, se guardiamo al periodo che stiamo vivendo in una prospettiva un po’ più ampia, ci possiamo facilmente rendere conto che, sì, è vero, siamo in un momento di crisi; ma non è certo il primo né il più grave della storia dell’umanità. Semplicemente, ci siamo dentro, e ci è difficile, quindi immaginare il domani. Ma è proprio nei periodi di difficoltà che è importante evitare di lasciarsi ricattare dalle paure. Epicuro, nell’epoca in cui il mondo della polis greca cambiava i suoi connotati, i suoi confini, e si allargava a dismisura nell’ellenismo, parla a donne e uomini smarriti, e di cosa parla? Di felicità. La felicità non è obbligatoria, ma certo è un antidoto importante al contagio delle passioni tristi, e sono d’accordo con l’idea che ne avevano i greci antichi: non è una questione di fortuna o di spensieratezza, ma una postura intellettuale, una forma di coraggio.

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sabato 27 Luglio 2024