Femminicidio linguistico
Nessuno definirebbe mai Federica Pellegrini un nuotatore o Bianca Balti un modello, Maria un infermiere, Antonella un maestro ed Elisa un segretario. Invece con il Ministro Annamaria Cancellieri, il Magistrato Ilda Boccassini, l’Avvocato Giulia Bongiorno e il Rettore Daria De Pretis la musica cambia. Le donne in questione sembrano acquistare potere, importanza e prestigio solo grazie agli appellativi al maschile.
Per alcune cariche istituzionali o professioni, infatti, non si utilizza mai il femminile o, se lo si fa, sembra così forzato (e brutto) che si passa per analfabeti: sindaca, chirurga e ingegnera sono tre esempi.
Discriminazione linguistica? Se Paesi come la Svizzera stanno provando a sradicare questa tradizione androcentrica con studi e ricerche finalizzate all’inserimento nella lingua corrente del femminile laddove manchi, i sostenitori più accaniti del maschile che ingloba (o soffoca?) l’altro sesso sostengono che non sia giusto trasgredire le regole grammaticali solo perché negli ultimi anni alcuni ruoli sociali – di solito appannaggio del “sesso forte” – siano stati resi accessibili anche alle donne.
Cittadini e spettatori: nascondere la donna dietro (o dentro) il genere grammaticale maschile non è una questione linguistica ma un evidente stereotipo culturale. Spieghereste come mai una signora che cucina in contesti umili è una cuoca, ma se lo fa in location a tante stelle è uno chef?
Approfondimenti
Le lingue sono spesso sessiste, ma la lingua evolve, quindi, perché no? Perché non seguire l’esempio della Svizzera?