È successo un po’ di anni fa, quando mi sono recato in Grecia in vacanza. Prima tappa del nostro itinerario era la capitale, Atene, con la sua storia e le sue antichità. Era la parte del nostro viaggio in cui più ci volevamo dedicare a fare i turisti, visitando musei, luoghi celebri e curiosità storiche. Tappa centrale di questa gita nella storia era ovviamente la visita all’acropoli di Atene e le aspettative più grandi andavano al monumento più rappresentativo dell’antica Grecia: il Partenone.
Fu qui che accadde l’inghippo: non so se fu colpa della lunga coda per avere il biglietto, della salita, del sole cocente o del fatto che il Partenone in parte fosse coperto dalle impalcature dei restauratori; fatto sta che non provai nulla di eccezionale arrivato là dove mi sarei aspettato di avere un tuffo al cuore, restando estasiato di fronte alla magnificenza di uno dei monumenti più belli ed antichi d’Europa.
Questo mi fece pensare parecchio nei giorni successivi: perché non ero rimasto meravigliato di vedere il Partenone? Cosa c’era che non andava? Ero diventato incapace di stupirmi? Alla fine riuscii a capire qual era il problema: io in fondo l’acropoli ed il Partenone li avevo già visitati, già visti almeno un centinaio di volte in televisione, in internet ed in fotografia. Non c’era nulla di particolarmente sorprendente da vedere: sapevo cosa avrei trovato lassù, sul colle dell’Acropoli.
Dopo quel viaggio ho sempre pensato che in fondo le tecnologie ci hanno fatto guadagnare tantissimo, è indiscutibile ed è giusto così. Ma spesso c’è qualcosa che viene perso assieme alle conquiste ed agli innegabili vantaggi che le innovazioni tecnologiche comportano. La capacità di meravigliarsi è una di queste, a mio giudizio: stupirsi nell’era della comunicazione a tempo zero, della riproducibilità e della disponibilità pressoché infinita di ogni contenuto, è molto più difficile rispetto ad un tempo.
L’esperienza che vi ho appena raccontato ne è un esempio: senza dubbio se io non avessi mai visto in alcun modo il Partenone, ma ne avessi al massimo solo sentito parlare, la mia reazione sarebbe stata molto diversa una volta arrivato in cima al colle dell’Acropoli.
Allo stesso modo pensiamo alla musica, o a un film, o a uno spettacolo teatrale: un tempo ognuna di queste cose era un evento rarissimo, spesso irripetibile nella vita di una persona. Per ascoltare una sinfonia di Beethoven ci si doveva recare a teatro o avere la fortuna di avere un pianoforte ed un amico musicista che potesse quantomeno riprodurre i motivi più belli ed importanti.
Oggi invece esistono i formati digitali, riproducibili e duplicabili all’infinito. Con Spotify posso ascoltare una sinfonia di Beethoven come, dove e quando voglio. Il potenziale comunicativo del nostro mondo fa sì che il motivo iniziale della Quinta sinfonia sia stato ripetuto talmente tante volte da essere diventato quasi banale. Non c’è al fondo di tutto questo qualcosa di triste? Non ci siamo forse persi per strada qualche cosa?
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domenica 8 Dicembre 2024