“Un lungo addio”, ad un anno dalla scomparsa il ricordo di “Rombo di tuono” Gigi Riva


Gigi Riva, o come si dice nel campidano GiggiRriva, è stato per Cagliari un secondo Sant’Efisio. Il Santo aveva portato il cristianesimo sull’isola, Luigi Riva da Leggiuno ha portato alla vittoria dello scudetto il Cagliari nel 1970. La storia di Riva è fondamentalmente quella di un orfano, adottato poi da una terra che lui stesso inizialmente temeva, ma che ha saputo farlo sentire figlio, lo ha fatto diventare padre e lo ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.

“Ho perso il papà a 9 anni, mia madre a 16. Quando arrivai in Sardegna ero incazzato con la vita, sembrava che il destino ce l’avesse con me. Mio padre era un grande appassionato di sport, lo ricordo conversare in piazza di ciclismo; di mia madre ricordo i sacrifici.”

Il padre sopravvisse alle guerre mondiali ma morì per un incidente sul lavoro, la madre morì di cancro. Arriva in Sardegna quasi per caso, gioca a Legnano in provincia, la prima squadra di alto livello che lo nota è il Cagliari. La Sardegna negli anni ’60 era vista come un luogo per esiliati, tant’è che la zia quando viene a sapere che si sarebbe trasferito nell’isola gli chiede che crimine abbia commesso. Riva arriva all’Amsicora, all’epoca “stadio” del Cagliari, e trova il campo in terra battuta perché le squadre che non erano in serie A non erano tenute ad avere il campo in erba. Fa un accordo col Presidente del Cagliari per cui avrebbe dovuto trascorrere nella squadra solamente un anno. In Sardegna però si trova subito a suo agio, perché il mondo sardo è silenzioso fuori ma molto forte dentro, proprio come lui, silenzioso fuori ma Rombo di Tuono dentro. Il “DNA” dei sardi è diverso, non c’entra col resto della Penisola, è un mondo a sé.

Gigi Riva, anche quando era diventato GiggiRriva, cenava tutte le sere nello stesso ristorante di Cagliari e nessuno veniva a disturbarlo, un trattamento che Francesco Totti, nella sua Roma, può solo immaginare. Gli piaceva correre con l’auto, lo faceva spesso sulla strada rettilinea del Poetto, la spiaggia della città di Cagliari, e un giorno, fece un sorpasso pericoloso. Il conducente dell’altra auto lo inseguì, lo fece fermare e non appena lo riconobbe si scusò con lui. Quando il Cagliari giocava nel Nord Italia, si formavano pullman di sardi provenienti dalla Germania, dalla Svizzera e da altre parti d’Europa per vedere Riva che segnava tre reti a Milano contro l’Inter. Questo per far capire la venerazione dei sardi per quel calciatore. Non era soltanto uno dei calciatori più straordinari che l’Italia abbia mai visto, ma era principalmente un uomo. Un uomo che scelse di non andare a giocare per squadre di gran lunga più forti che lo avrebbero ricoperto di soldi, un uomo che, quando l’Italia tornò per festeggiare il titolo mondiale del 2006 ai Fori Imperiali, scese dal pullman della Nazionale perché ci era salito qualche italiano che aveva detto che l’Italia avrebbe fatto meglio a non presentarsi a quel mondiale per via di calciopoli, un uomo che scelse di restare in Sardegna tutta la vita.

“Avrei guadagnato il triplo ma la Sardegna mi aveva fatto uomo, ormai era la mia terra, ci ero arrivato a 18 anni. All’epoca ci sbattevano i militari puniti. Ci chiamavano pastori e banditi. Avevo 23 anni, la grande Juve voleva coprirmi di soldi, io volevo lo scudetto per la mia terra. Ce l’abbiamo fatta noi, banditi e pastori.”

In un funerale è difficile trovare qualcosa di bello, eppure in quello di Riva ce ne sono state due: l’affetto straordinario della città di Cagliari e di tutti i sardi accorsi per salutarlo un’ultima volta e, soprattutto, il figlio del calciatore che ringrazia tutti con un clamoroso accento sardo.

Gigi Riva verrà ricordato come calciatore ma soprattutto come Uomo, quello che in spagnolo chiamano “hombre vertical”, che è sinonimo di uomo fermo e deciso, caratterizzato da un’alta rettitudine morale. Chi scrive è naturalmente troppo giovane per averlo visto giocare. Ma i racconti di mio padre me lo hanno fatto amare, prima come persona e poi come calciatore. Anche per questo motivo, l’articolo in questione, ricorda più gli episodi che lo hanno celebrato come uomo più che decantare i suoi indubbi successi e numeri da calciatore. Da sarda posso semplicemente ringraziarlo per aver fatto scoprire non solo una squadra ma un’intera regione, grazie allo scudetto di quel grandioso 1970, che abbiamo vinto “noi banditi e pastori”.

Sport
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

venerdì 7 Febbraio 2025