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Un Giro d’Italia parecchio noioso

L’11 gennaio – quindi in tempi decisamente non sospetti – il mio articolo di presentazione del Giro d’Italia 2022 si concludeva con le seguenti parole: «Purtroppo, date le premesse, sembra che il fuoco e le fiamme saranno solo al Tour. La speranza resta sempre quella di sbagliarsi». Mi sono sbagliata? Non direi. Sono quattro le ragioni che confermano la mia ipotesi.

1. Per trovare “fuoco e fiamme” in questo Giro ci si dovrebbe munire di una lente d’ingrandimento e armare di santa, illuminata pazienza – ma probabilmente ancora non basterebbe. Consideriamo i corridori saliti sul podio: Jai Hindley (Bora-Hansgrohe), Richard Carapaz (Ineos Grenadiers) e Mikel Landa (Bahrain Victorious). Nessuno dei tre ha mai avuto il coraggio o le energie (o entrambe le cose) di attaccare da lontano, di provare a creare situazioni insidiose per gli avversari, in poche parole di dare spettacolo. Una noia incredibile, dove a farla da padrone sono le fughe di giornata o qualche raro, temerario corridore; vedi la splendida impresa in solitaria di Alessandro Covi (UAE Emirates), che ha saputo dare lustro alla tappa regina del Giro. L’unico vero attacco da parte dei big è arrivato all’alba della penultima tappa e, per quanto abbia sentenziato la vittoria di Hindley su Carapaz, non è servito a rianimare una competizione che da tre settimane non dava segni di vita.

2. A contribuire a questa piattezza, due ritiri importanti: Romain Bardet (Team DSM) e João Almeida (UAE Emirates); il primo per problemi di stomaco, il secondo per un tampone positivo. La loro presenza avrebbe potuto movimentare le acque e avrebbe reso la sfida Carapaz-Hindley più interessante, incentivandoli magari a qualche attacco e dando una scossa a quella noiosissima abitudine di correre in gruppo.

3. Il terzo motivo è dettato da un affetto personale nei confronti dei corridori Ineos e influenza quindi soggettivamente il giudizio sul Giro d’Italia, ma lo scrivo lo stesso: avrei preferito una vittoria di Carapaz. Non solo e non tanto perché una giornata no gli è costata tre settimane ininterrotte di leadership in rosa: è la dura legge del ciclismo, funziona così ed è già capitato tante volte (testimone il povero Primož Roglič al Tour de France 2020). Non solo e non tanto perché ha perso la maglia rosa alla vigilia del suo compleanno: la squadra che gli canta happy birthday cercando di consolarlo tutto sommato attutisce la tristezza. No, il vero motivo per cui avrei voluto la sua vittoria ha un nome e un cognome: Egan Bernal. Lo scorso gennaio, il campione in carica del Giro ha subito un grave incidente in allenamento che gli è quasi costato la vita, ha affrontato una complessa fase di riabilitazione e solo di recente è riuscito piano piano a tornare in sella. Veder trionfare il suo compagno sarebbe stato un bel colpo per il morale della squadra. Forza, Egan.

4. Questo è stato l’ultimo Giro d’Italia di Vincenzo Nibali. E quando un campione come Nibali si ritira, peraltro senza eredi all’orizzonte, lo spazio per l’entusiasmo si ridimensiona notevolmente.

Nonostante la monotonia, però, c’è un aspetto che fa sempre piacere sottolineare: il fair play (che, a differenza del calcio, almeno nel ciclismo pare esistere ancora). Carapaz ha perso la gara più importante della sua stagione alla penultima tappa, ma questo non gli ha impedito di complimentarsi e di stringere la mano all’avversario che lo ha sconfitto.

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