Questione di equilibrio

Foto di Elena Pegoretti

Mani a terra e piedi in aria: fino a qualche tempo fa non immaginavamo nemmeno che il verticalismo fosse una disciplina vera e propria. Incuriositi, abbiamo deciso di andare ad assistere ad una lezione con Cristina, che da un paio d’anni insegna e trasmette questa insolita passione ai suoi allievi e alle sue allieve. Ve lo raccontiamo in questo articolo!

Appena entro nello spogliatoio, Cristina mi accoglie con un abbraccio e poi mi indica un cartello appeso al muro di fronte alla porta d’entrata. Togli le scarpe, con una cordiale faccina sorridente disegnata accanto. A malincuore e fingendo nonchalance abbandono le Converse in uno scaffale svelando così il segreto dei miei calzini bucati e, mentre entro in sala per sedermi sulla panca a ridosso della parete, la curiosità si fa sempre più forte.

È la prima volta che assisto a una lezione di verticalismo – o forse per chiarezza dovrei utilizzare il nome inglese handbalance, perché è proprio di questo che si tratta: equilibrio sulle mani. Sulle proprie, si intende. A gambe all’aria e testa in giù. Più che legittimo domandarsi che scopo possa avere dedicarsi a quest’attività, ma a fine serata scopro che le risposte sono molteplici. La prima arriva insieme agli allievi che raggiungono la sala con le loro tute sgargianti e i materassini arrotolati sotto braccio: perché è divertente. Tutti ridono, sono contenti di vedersi come ad una rimpatriata tra compagni di liceo, e questo mi fa immediatamente sentire a mio agio.

Dopo qualche scambio di battute e concluso il “momento gossip fisioterapista”, che dà la conferma di quanti interessi e quali necessità questo gruppo abbia in comune, inizia il riscaldamento sulle note di una playlist Hip Hop anni Novanta da cui gli allievi, ci tengono a farmelo sapere ridendo, si dissociano.

Conclusa questa lunga e necessaria fase, arriva il momento che immaginavo epico ma che ovviamente a loro risulta, se non normale, quantomeno abitudinario: la salita in verticale. Ed è proprio osservando questo lavorìo di ribaltamento di se stessi che scopro in che cosa consista davvero l’arte del verticalismo e ne resto affascinata. Non si tratta solamente di rovesciare il proprio punto di vista “vedendo il mondo a testa in giù”, come ingenuamente si potrebbe pensare, ma comporta, invece, un radicale spostamento dell’attenzione, una ridefinizione totale dei propri punti d’appoggio. Non si tratta nemmeno di cercare un equilibrio statico, ma di crearne uno, costantemente spostando il peso in maniera impercettibile, ridisegnando senza timore quella linea che ci fa assumere una posizione e ricordando a noi stessi quanto illusoria sia la convinzione che una conquista sia tale una volta per tutte e per sempre.

In tutto ciò, ed è questo l’aspetto che davvero mi colpisce, non si può prescindere dall’aiuto reciproco. Praticare il verticalismo non significa esclusivamente imparare a stare sulle mani, ma anche fare assistenza a chi lo fa – parte altrettanto difficile e importante in questa disciplina e che deve essere svolta in maniera attiva e attenta. Chi sta a terra deve certamente costituire un punto d’appoggio per evitare che chi sale possa cadere, ma deve anche operare in modo da non immobilizzare proprio quella costruzione di equilibrio che impedisce alla persona di cadere.

A ben guardare, nulla di più simile ad una relazione, in cui la sfida è cercare di capire quanto stringere e quanto allargare per fare in modo che l’altro si senta sostenuto e al tempo stesso libero di fare progressi che siano suoi personali.

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giovedì 7 Novembre 2024