Finals NBA, infortuni e come porvi rimedio
Per quel che mi riguarda, la partita più importante della stagione NBA (gara-7 delle Finals, che quest’anno prevedevano un esotico Indiana Pacers – Oklahoma City Thunder) è terminata quando alla sirena di fine primo quarto mancavano 4 minuti e 55 secondi. È stato in quel momento che Tyrese Haliburton, stella dei Pacers, si è rotto il tendine d’Achille cercando di superare un avversario. È finito a terra, in lacrime, sbattendo ripetutamente la mano sul parquet non solo per il dolore ma più, credo, per la frustrazione di un sogno che improvvisamente era svanito per colpa dell’incarognirsi del destino. Fino a quel momento la sua partita era stata signorile: 9 punti in sette minuti, sbagliando appena due tiri. Una prestazione da legacy game. Una prestazione di chi è pronto a vendere cara la pelle pur di agguantare il premio.
Haliburton non è la prima stella NBA a infortunarsi dopo la regular season. Prima di lui era toccato anche a Damian Lillard e a Jayson Tatum, entrambi colpiti dalla stessa lesione tendinea. È il risultato di una stagione estenuante. Estenuante non perché lunga (è una vita che le squadre NBA affrontano una stagione regolare da 82 partite), ma perché sempre più competitiva. Ai tempi di Michael Jordan il ritmo-gara era più compassato e il livello si alzava decisamente solo ai play-off. Ora ogni partita viene giocata a ritmi folli, come se i giocatori fossero preda di un furore agonistico che non si esaurisce mai. E ai play-off il livello si alza ulteriormente: le difese iniziano a fare sul serio (e di questo OKC ha dato prova tutto l’anno), gli attacchi sono costretti a correre di più.
Non esistono soluzioni: non puoi certo chiedere ai giocatori di correre un po’ meno, di marcare con minore intensità o di appoggiare la palla al tabellone invece di schiacciarla con violenza nel canestro. Ciò che invece si può fare – o si può provare a fare – è un cambiamento a monte. Ne ha parlato di recente anche LeBron James: adottare le regole FIBA potrebbe aiutare a risolvere il problema degli infortuni. La FIBA è la federazione che governa la pallacanestro mondiale (NBA esclusa, essendo questa un’associazione autonoma): quando guardiamo una partita di campionato italiano, di Eurolega o perfino delle Olimpiadi le regole sono quelle stabilite dalla FIBA. La più importante differenza rispetto alla pallacanestro statunitense riguarda il tempo di gioco: 40 minuti, contro i 48 adottati in NBA. E pare paradossale, ma forse proprio questa è la soluzione: per avere ritmi ancora più alti e partite ancora più spettacolari bisognerà giocare di meno.
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venerdì 11 Luglio 2025