Festival dello Sport: l’Italia del ciclismo, fughe mondiali

Che succede quando sei campioni e sette titoli mondiali si incontrano? È ciò che è avvenuto ieri al Festival dello Sport di Trento nel quale Vittorio Adorni, Marino Basso, Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Maurizio Fondriest, Gianni Bugno e Alessandro Ballan si sono dati appuntamento per quella che è stata una vera e propria parata di stelle. Una sfilata mondiale che ha rievocato i fasti del passato ed ha fatto riassaporare il dolce gusto di quelle fughe divenute poi celebri grazie ai trionfi dei campioni azzurri.

I primi a salire sul palco sono stati Maurizio Fondriest, Gianni Bugno e Alessandro Ballan che, in ordine cronologico, hanno raccontato le proprie imprese: se da un lato Fondriest e Bugno hanno ripercorso i passi incrociati che li hanno visti battagliare nella stessa epoca, quello di Ballan è recentemente il più fresco, seppure siano passati ormai molti anni. Per Fondriest si è trattato certamente di una rivincita dopo la Milano-Sanremo persa pochi mesi prima: “Quell’anno alla Classicissima ero convinto di vincere ed ho sottovalutato i miei avversari. Sicuramente mi è servita da lezione per il mondiale dove non ho commesso lo stesso errore e sono riuscito a vestire la maglia di campione del mondo”.

Quella dell’iride è sicuramente una delle maglie più prestigiose dell’intero panorama ciclistico, lo conferma anche Bugno che di titoli ne ha collezionati ben due, uno in fila all’altro: “La maglia iridata ha un’importanza particolare perché rimane impressa nella mente di tutti. Vincendo il mondiale entri nella storia e non credo ci sia soddisfazione più bella per un ciclista.” Della vittoria di Ballan si potrebbero raccontare tante cose, ma quella che lui stesso ci tiene a sottolineare è il tifo di Varese al suo ingresso nel viale conclusivo: “Di quel giorno ricordo tutto. Quando sono scattato ho sentito un boato incredibile che mi ha spinto fin sul traguardo. È senza dubbio il momento più bello della mia carriera, persino più della vittoria al Giro delle Fiandre.”

Concluso il loro intervento, il cambio di testimone porta sul palco due icone del ciclismo di un tempo: Vittorio Adorni e Marino Basso sono l’espressione più bella di quell’epoca che racchiude il vero senso della fatica applicato alla bicicletta. Sono ragazzi da fughe mondiali, giusto per citare il titolo stesso dell’evento, testimoni di un ciclismo eroico fatto di chilometri da percorrere in solitaria, senza l’aiuto di radioline, dove chi ne aveva di più vinceva: “Il mondiale di Imola ’68 è stata una gara d’altri tempi. Prima è andata via una fuga dove non c’era la Francia: io dicevo ad Anquetil di recuperare, ma non mi ascoltava molto. Poi a 90 km dal traguardo sono partito io e sono riuscito ad arrivare da solo con quasi 10 minuti di vantaggio.”

Era un ciclismo d’altri tempi anche quello di Moser e Saronni, saliti sul palco per ultimi, non certo per importanza: i due sono ormai amici di vecchia data, sebbene la loro rivalità sia stata molto accesa nel corso della loro carriera. Per stessa loro ammissione: “La nostra rivalità ci ha spronato a fare sempre meglio. Moser senza Saronni non sarebbe stato lo stesso e viceversa. Diciamo che siamo stati l’uno lo stimolo dell’altro”. Sicuramente anche il contesto mediatico ci ha messo del suo, dice Moser: “I giornali volevano che ci scornassimo, non aspettavano altro. Non c’erano addetti stampa che ci dicevano cosa dire”. Gli fa eco Saronni: “Il giornalismo era diverso, era tutto incentrato su di noi. Gli altri corridori ne soffrivano perché anche quando vincevano loro, si parlava comunque di me e Francesco.”

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venerdì 28 Marzo 2025