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Festival dello Sport: Maurizio De Giovanni racconta Maradona

È un Festival dello Sport partito all’insegna delle novità quello della quinta edizione, con i pomeriggi nel cortile di Palazzo Thun all’insegna dei più grandi narratori italiani di miti ed icone dello sport mondiale immersi, come da titolo della manifestazione, nei loro momenti di gloria. L’ospite della giornata di ieri è stato uno dei giallisti italiani più iconici e conosciuti della nostra epoca, quel Maurizio De Giovanni che ha saputo raccontare un ricordo indelebile della storia del calcio: il gol più bello del mondo mai segnato su un campo da calcio, quello che Maradona siglò ai danni dell’Inghilterra nei quarti di finale de Messico ’86.

Quel cognome non lo nomina mai, come se nel farlo cadesse nella blasfemia: utilizza nomignoli con cui veniva chiamato il Pibe de Oro in famiglia e tra gli amici, ne traccia i connotati alla perfezione e riesce a catalizzare l’attenzione del pubblico che rimane ad ascoltare in uno stato di profondo coinvolgimento.

È un ragazzino sognante Maradona, come ce ne sono tanti in giro del resto, ma lui aveva una dote innata legata ad un piede sinistro ed un pallone che lo inseguiva: l’ennesima scommessa vinta sul campo stracciato di Villa Fiorito, è da qui che parte il viaggio di De Giovanni che, nel rapido scorrere di 40 minuti, finisce per cantare l’ode a colui che, per stessa ammissione del narratore, appartiene ad un altro pianeta. Fantasticare e sognare è una virtù insita nello spirito fanciullesco: Maradona e l’amico d’infanzia Gregorio, detto El Goyo, ne hanno a profusione a tal punto che, con oltre 17 anni di anticipo, idealizzano quello che poi verrà ricordato negli annali e nella storia del calcio.

Si passa in rapida successione dall’infanzia del piccolo Pelusa alla convocazione nella Selecciòn per quel Mondiale 1986 che segnerà un pilastro fondamentale nella carriera di Maradona. La chiamata in nazionale arriva dopo un periodo nero dovuto ad una malattia al fegato che ne mette a serio rischio la carriera, ma Carlos Bilardo, l’allenatore dell’allora Argentina detto Narigòn per il suo nasone pronunciato, lo vuole a tutti i costi e gli costruisce addosso l’abito perfetto per la serata di gala più importante del mondo per un calciatore. Il finale lo si conosce bene: dodici tocchi di sinistro, partendo dalla propria metà campo, dribblando chiunque gli si facesse incontro, concludendo depositando la palla in rete.

Perfino il commentatore non seppe cosa dire: passò dal semplice Genio al non riuscire più a scandire delle parole di senso compiuto, salvo poi, dopo un momento di ripresa, urlare un deciso Gol con tante o da accompagnare un esultante Maradona fino alla bandierina. Infine, non gli restò altro che celebrare la rete con l’iconica frase entrata nella storia: Dios Santo, viva el futbol.

Quella Coppa del Mondo, ancora oggi, porta la firma di Maradona che l’alzo il 29 giugno 1986 nel cuore dello Stadio Azteca di Città del Messico.

Sport
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sabato 27 Maggio 2023