Antonio Conte e Pep Guardiola: è possibile mangiare in un ristorante da 100 euro con soli 10 in tasca?

Il mese di marzo è da sempre uno dei momenti clou in ogni campionato, perché la classifica inizia a definirsi e il periodo più caldo della stagione – il rush finale verso il titolo – si fa sempre più vicino. Il marzo della Premier League si è confermato all’altezza delle aspettative, sia per i risultati sul campo che per il contesto in cui il campionato si è svolto, confermandosi una delle leghe più interessanti al mondo: c’è stato il 7 a 0 del Liverpool allo United, il tracollo del Chelsea e, su tutte, l’ennesima scenica fine di una panchina per il nostro Antonio Conte. Il rapporto con gli Spurs è durato meno di due anni, periodo in cui il leccese non è riuscito a riportare al New White Heart Lane nemmeno un trofeo; sarà stato – come riportato nella sua ultima conferenza stampa pre-partenza – per la mentalità dei giocatori, visti come troppo egoisti, ma Antonio non ha detto bugie ricordando alla stampa che un trofeo in quell’ambiente manca ormai da 15 anni, nonostante di grandi giocatori e grandi allenatori se ne siano alternati molti. In ogni caso, nulla sembra essere andato giusto nell’ultima stagione trascorsa da Conte in Inghilterra.

Sicuramente il temperamento dell’ex tecnico della nazionale rischia di essere un’arma a doppio taglio, perché se da un lato è capace di spronare i suoi all’estremo – il caso del famoso Conte-Motivatore che tanto abbiamo amato alla guida degli Azzurri – ma che allo stesso tempo lo rende uno dei più “antipatici” in circolazione. Il problema nella fine delle panchine di conte è, però, la ciclicità e la sistematicità con cui uno stesso schema porta alla fine dei rapporti tra l’allenatore e quanto lo circonda. Il percorso è il seguente: Conte crea un grande ambiente, motiva i suoi, vince un trofeo o comunque ottiene dei buoni risultati, se non ottimi, conclude la stagione acclamato da tutti, ma quando arriva il periodo del calciomercato sembra sempre avere pretese troppo alte o che comunque nessuna società si sente mai di rispettare a pieno, portando ad una frattura irreparabile, spesso segnata da grandi frasi entrate nell’immaginario calcistico comune. L’esempio perfetto fu il suo congedarsi dalla Juventus: “Non si può mangiare con 10 euro in un ristorante da 100 euro”.

Il tema sembra essere molto caro a Conte, tanto da diventare un Tallone d’Achille, ma mettendo la sua situazione in parallelo con quella di un altro allenatore, sicuramente più “vincente” di lui in campo europeo, come Pep Guardiola, l’allenatore nostrano potrebbe avere ragione su questo acceso dibattito. Pep è stato subito uno nella categoria dei “vincenti”, infatti nel 2008/2009, appena diventato allenatore dei blaugrana, riuscì a vincere una Champions League, contando però su un organico stellare. Da lì in poi il trend è stato capace di mantenerlo, sia con il Barça che con il Bayern Monaco, collezionando traguardi su più livelli. Solo negli ultimi due anni i vari mercati scelti dalle dirigenze, con il chiaro accordo dell’allenatore, sembrano essere stati notati dal grande pubblico: il Manchester City, come le altre squadre allenate dallo spagnolo, ha investito molto, anche in maniera intelligente – come i soli 60 milioni di euro per Haaland – ma di trofei significativi non ne sono arrivati. Ormai non è più un mistero quello delle vittorie dei Citizens, Guardiola stesso qualche anno fa ammise che “il segreto della squadra sono i tanti soldi per tanti grandi giocatori”; sicuramente c’era una vena ironica, ma è altrettanto vero che possiamo leggerci nascosta una grande verità.

È sicuramente giusto definire un tecnico per i suoi risultati, un po’ come i giocatori e le prestazioni complessive, ma non sarebbe sensato tenere in conto anche un criterio essenziale come quello del peso del mercato? I casi Conte-Guardiola messi in parallelo potrebbero essere una base per far realizzare quanto un allenatore possa “funzionare” al meglio con la presenza dei suoi pupilli o in base alle sue richieste, che sono spesso poco economiche per società non spalleggiate da un gruppo di sceicchi, un po’ come capitato con Ancelotti al Napoli: fu un flop, ma non arrivò mai la sua unica richiesta, il trequartista colombiano James Rodriguez. A prescindere dalla credibilità di Antonio Conte, sicuramente scalfita da una stagione del genere con il Tottenham e dai continui litigi nei suoi spogliatoi, è possibile confermare che non si sbagliava quasi 10 anni fa, salutando la “sua” Juve: non si può mangiare in un ristorante da 100 euro come la Champions con soli 10 euro in tasca. Il parallelismo tra i due ne è la prova, perché se Conte è dovuto uscire dallo spogliatoio dell’Inter a suon di porte sbattute per la cessione, senza possibilità di scelta, di un top player, Pep non ha mai avuto di questi problemi, perlomeno negli ultimi anni, tutt’altro: basta pensare ai 107 milioni di euro spesi per portare Jack Grealish nella sponda azzurra di Manchester.

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lunedì 21 Ottobre 2024