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“Quel che si vede da qui”, Mariana Leky

Ci sono scrittori che sanno creare un mondo insolito e stravagante. Un universo mai visto prima, ma che, mentre leggi, ti sembra di conoscere da sempre.

Mariana Leky, con “Quel che si vede da qui” (Keller, 2019), ci è riuscita: mi è sembrato di vivere da sempre in un paesino del Westerwald tedesco, “in una sinfonia di verde, azzurro e oro”.

Nel Westerwald abitano Luise e sua nonna Selma, le cui giornate s’intrecciano con quelle di tutta la comunità. C’è l’ottico, da sempre segretamente innamorato di Selma; Martin, amico fedele di Luise e sollevatore di pesi; Alberto, gelataio alquanto originale, dal quale si possono ordinare palline di “Passione scottante” o “Pura libidine”; Elsbeth la superstiziosa, sorella del defunto marito di Selma; Marlies che non è mai contenta e che si lamenta proprio di tutto; e, infine, il padre e la madre di Luise, separati eppure ancora innamorati.

Selma è al tempo stesso amata e temuta nel villaggio. Ci sono notti nelle quali in sogno le fa visita un okapi, l’ultimo grande mammifero scoperto dall’uomo, un animale stranissimo a metà tra zebra, giraffa, tapiro, capriolo e topo. Quando Selma sogna un okapi, una cosa sola può accadere nel villaggio: entro ventiquattro ore, qualcuno – non si sa chi – muore.

Inizia proprio così – quando Selma annuncia di aver sognato un altro okapi – “Quel che si vede da qui”.

La paura della morte rende le persone più fragili e più vere. O almeno così succede nel paesino di Selma e Luise, dove i personaggi si svelano in tutta la loro umanità, piena zeppa di stramberie e contraddizioni. Come quelle dell’ottico, che cerca d’iniziare una lettera che parli a Selma d’amore, ma invano: mentre le sue voci interiori lo tormentano, scrive centinaia d’incipit che non hanno una continuazione. È una macchietta, l’ottico: al lavoro – e non solo – la targhetta che porta sulla giacca reca la scritta “Dipendente del mese”, quando lui è l’unico dipendente del suo studio. Inoltre riesce a trovare collegamenti tra le cose più disparate.

«È così che funziona il nostro cervello. Nel giro di pochissimo tempo può indurci a credere che esista un forte nesso tra le cose più assurde. Caffettiere e stringhe, ad esempio, o vuoti a rendere e alberi di Natale».

Mentre Selma e Luise sono assorte da quel loro mondo così “verde, azzurro e oro”, il padre di Luise cerca di rifuggirvi. Dopo essere andato da un analista, decide di lasciare tutto e partire, viaggiare per il mondo, affermando che le superstizioni di Selma e Luise derivano da “una scarsa presenza del mondo” nelle loro vite. “Lasciate entrare un po’ di mondo!” afferma sempre a gran voce. E Luise lo lascerà entrare davvero, innamorandosi nientemeno che di un monaco buddista, Frederik, scatenando così la curiosità di tutto il paese.

È un libro che ti fa ridere improvvisamente, “Quel che si vede da qui”. È un rimedio contro lo scoramento, una piccola grande poesia che descrive la vita da una prospettiva insolita e necessaria, attraverso la voce di Luise che, anche da adulta, non dimentica di essere un po’ bambina.

«A quel punto sentivamo qualcuno nel corridoio che le chiedeva se avesse un rimedio contro un’eventuale morte, poi sentivamo quel qualcuno andarsene e lei che gli gridava dietro: “Ma per il mal di denti e l’amore non corrisposto ne ho tantissimi, se mai ti servissero”».

Marianna Malpaga

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