Dossier – Popoli e conflitti: i Rohingya
È un popolo perseguitato, praticamente da sempre. I Rohingya, popolazione di fede musulmana, che abita nella regione del Rakhine birmano hanno infatti dietro le spalle una storia fatta di violenza e discriminazione. Ad oggi si può considerare come una delle popolazioni più represse al mondo: non può spostarsi, è poverissima, è continuamente vessata e, di fatto, apolide. E chi vive nel Rakhine è ormai solo una piccolissima parte della comunità in larghissima maggioranza ormai parte della diaspora, dal Bangladesh all’Arabia saudita, dall’India all’Indonesia.
Nel corso del dossier ripercorreremo alcune tappe di questa persecuzione e dell’esodo-strage del 2017 e 2018, non dimenticando il ruolo di un Nobel per la pace (Aung San Suu Kyi) più che criticato e il durissimo rapporto Onu dell’estate 2018.
Per leggere il dossier completo, clicca qui troverai tutte le altre sezioni, tra cui:
- Il rapporto dell’orrore.
- Chi fa cosa: il popolo Rohingya.
- Focus 1: repressione di lunga data.
- Focus 2: un premio Nobel contestato.
L’esodo dei Rohingya
Dopo che già nel 2016 vi era stato l’ennesimo esodo di decine di migliaia di rohingya in Bangladesh, nell’agosto del 2017 avviene l’esodo più massiccio: a seguito di attacchi armati a check point dell’esercito birmano nel Rakhine da parte del gruppo armato Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), i militari hanno intrapreso una sistematica operazione militare repressiva ai danni dei Rohingya. Stragi, violenze sessuali, incendi sistematici e crimini contro l’umanità. Una vera e propria operazione di pulizia etnica – come è stata defintita dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani – che ha portato oltre 700mila persone a fuggire verso il Bangladesh e l’India. Una fuga a piedi, una marcia lenta e incessante che per mesi ha scosso l’opinione pubblica Occidentale.
Oltre 700mila persone hanno trovato rifugio in Bangladesh, attraversando clandestinamente la frontiera, oppure negli oltre 70 campi profughi situati nella terra di nessuno tra i due Paesi, in veri e propri accampamenti di fortuna. Nel Novembre del 2017 il Bangladesh aveva concluso con il governo birmano un piano di rimpatrio delle migliaia di profughi che avevano varcato il confine: un programma che non è mai stato attuato.
L’intervento delle Nazioni Unite ha chiarito che il Bangladesh dovrà rispettare i suoi obblighi internazionali – tra cui il principio di non refoulement, con il quale si vieta di rimpatriare chi potrebbe essere ucciso o perseguito nel suo paese. Per questo, l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha chiesto al Bangladesh di sospendere i piani per il rimpatrio finché non siano loro assicurate condizioni sicure una volta tornati in “Patria”. E così il destino degli esiliati Rohingya resta in bilico, tra campi profughi, clandestinità e l’ombra dei “centri di ricevimento” già pronti per riaccoglierli in Myanmar, con filo spinato sul perimetro e guardie armate a circondarli.
Rubriche
Twitter:
lunedì 11 Novembre 2024