Tra patrimonio e orgoglio. Opinione su una bufala made in Italy

È capitato anche a voi di sentir dire, o leggere nei social: «L’Italia possiede il 50%-70% del patrimonio culturale mondiale»? Se uno ci pensa bene, questo dato è implausibile. L’Italia rappresenta lo 0,0019% della superficie mondiale. Immaginatevi di tagliare una minuscola fetta di panettone e di trovarci più di metà dei canditi.

L’Italia ha un patrimonio culturale straordinario: vero. L’Italia è il paese con il maggior numero di siti UNESCO: vero anche questo. Ma da qui a dire che l’Italia possieda la metà del patrimonio culturale mondiale il passo è lungo. In una collettanea dal titolo Geotechnics and Heritage (CRC Press, 2013), Carlo Viggiani riassume la storia di questa bufala, ahimè, costantemente ripetuta e mai verificata. Lascerò però ad altri il compito di fare debunking; voglio provare ad andare alla radice del problema. Troppo spesso ci si dimentica che la cultura non è un prodotto da vendere un tanto al chilo. Non esistono classifiche oggettive, né alcun Gran Premio della Cultura. Non c’è un modo di stilare una classifica della rilevanza culturale. Un luogo non vale né il numero di turisti che attrae, né un paese il numero dei suoi siti UNESCO.

La cultura non è solo qualcosa che si ha, ma qualcosa che si vive. Musei e biblioteche non sono gli unici depositari della cultura umana. Non a caso, dal 2001 l’UNESCO ha creato la lista del “Patrimonio orale e immateriale dell’umanità”. Degli esempi? Il flamenco, il teatro nogaku giapponese, la danza Mbende Jerusarema dello Zimbabwe, l’arte della pizza napoletana. In tutta questa varietà, mi chiedo se non si perda qualcosa a fossilizzarsi sul “proprio”? Quando sento qualcuno dire: «L’Italia è il paese più bello del mondo», io penso: «Beato te che hai visto tutti gli altri!».

Sia chiaro, adoro l’Italia. Ci sono nato e ci vivo. Provo tanto affetto per i luoghi dove sono cresciuto e amo il patrimonio culturale del nostro paese. Ma penso anche: «Che ne so io del resto del mondo? Perché dovrei fare classifiche?». Dante, nel De vulgari eloquentia (I, 3), ci propone una riflessione apparentemente banale, ma in realtà molto acuta. Secondo Dante, quando diciamo che la nostra città è la più bella del mondo, interviene più il sentimento che la ragione, più l’affetto che i ragionamenti oggettivi. Spiega Dante: «A me Firenze sembra la città più bella del mondo, e la più vivibile; ma con lo studio e la lettura questa mia convinzione si indebolisce, e mi convinco quasi che debbano esistere città più belle e più vivibili di Firenze».

Il punto è: non c’è niente di male nell’attaccamento ai propri luoghi del cuore. Però credo sia anche importante esercitarsi nell’“arte del distacco”. Come? Leggendo, viaggiando, conoscendo persone di altri paesi e provando a comprendere da cosa nasce l’amore (o l’odio) di ognuno verso i propri luoghi. Solo in questo modo si eviteranno la chiusura mentale e il campanilismo. Solo in questo modo nascerà un affetto più sano verso i nostri luoghi del cuore: un affetto consapevole della bellezza della molteplicità.

Cultura
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martedì 12 Novembre 2024