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Quando l’amore brucia l’anima

Hallo, I’m Johnny Cash.

Iniziavano così tutti i suoi concerti. Ed il film, diretto da James Mangold, lo racconta con sapienza, regalandoci momenti indimenticabili. Nel cast, un incredibile Joaquin Phoenix e una straordinaria Reese Whiterspoon nel ruolo dell’amore di una vita di Johnny Cash, ossia June Carter.

Non riassumerò in una pagina l’emozione di risentire quella musica, di vivere quegli anni attraverso le pettinature, gli abiti e i modi di pensare che vengono generosamente riportati nel film. Così come la vita di Cash: poche pennellate, dei primi anni, ma incisive quanto basta, per immaginarsi anche tutto ciò che non viene specificato.

Rientra anche la macro storia della Depressione americana negli anni 30, l’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord e il conseguente arruolamento di John Ray Cash nella U.S. Air Force. Scriverò in tre parole quello mi è personalmente rimasto del film:

Storie: dimentichiamo che la musica può raccontare bellissime storie. Un esempio ne è “Folsom Prison Blue”, con un treno che appare subito nella mente di chi ascolta (I hear the train a comin’, it’s rolling round the bend) ed una motivazione per sparare così sciocca e così reale (But I shot a man in Reno, just to watch him die).

Inclusione: tema attualissimo. Cash ha cantato nella prigione di Folsom. Riesce a spogliarsi del suo privilegio di uomo libero, raccontando il dolore di chi non sa più come sia fatta l’alba e di chi si sente così profondamente solo, senza alcun amore I still miss someone. Parla senza filtri della droga e di come aiuti l’uomo a sopportare il peso dell’anima. Non c’è giudizio nella sua musica, ma solo comprensione per il viandante perduto che ogni uomo è. E se a qualcuno va meglio o peggio, pare sia colpa o merito solo del grande gioco della vita. Egli stesso, tra l’altro, passò un lungo periodo vittima di pesanti dipendenze. Mi collego a questo punto alla terza parola.

Generosità: June Carter è l’amore. Quello paziente, irrazionale, tenace e generoso. L’amore che non si risparmia per privilegiare se stessa. L’amore che mette da parte il buon senso comune, fatto di tanto egoismo, solo per vedere risollevarsi la persona che ama. Lei, anzi loro, ce l’hanno fatta. Ed è perciò che questa storia merita di essere conosciuta. Perché a volte ne vale davvero la pena. Vale la pena spendersi per chi si ama, anche se chi osserva, la gente, vede solo un cumulo di macerie.

Quando si crede in qualcosa, non è sbagliato farlo fino in fondo, questo film ce lo insegna. È un azzardo, certo. Persino la madre ed il padre di Cash non si sono soffermati un attimo a chiedersi come poter aiutare loro figlio. E questo la dice lunga su quanto le persone pensino prima di tutto a preservare se stesse, sapendo solo guardare dall’alto verso il basso, con un senso di piacevole disprezzo, chi non riesce a farcela da solo. Come se la solitudine, condizione primaria di tutti noi, debba per forza essere anche la condanna di ognuno.

Per qualcuno no. June Carter ha deciso di donarsi, senza riserve, pur avendo davanti a sé una persona disperata. Follia? Direi, appunto, generosità. Il vero pazzo sarà sempre chi, vedendo qualcuno che soffre, passa oltre stizzito. Chi si crogiola nei propri comfort emotivi e materiali, snobbando chiunque stia male più del tempo necessario. E di quanto c’è bisogno per piangere la morte del proprio fratello? Quanto è il tempo ragionevole per dare un senso ad un padre che ci disprezza non per quello che facciamo, ma per tutto ciò che siamo?

Infinito. Certi dolori ci appartengono come il nostro sangue. E dunque, a dispetto di tutte le brevi storielle, delle facili fughe, dei frettolosi addii che lasciano un oceano di distruzione dietro sé, amare forse è riuscire a condividersi, a lungo, integralmente. Addentrarsi e bruciare, insieme.

Cultura
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