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Parole. “Ferro” di Primo Levi

Nel 1975 viene pubblicata una raccolta di racconti di Primo Levi, “Il sistema periodico”, nella quale ciascuno dei 21 racconti porta il nome di un elemento della tavola periodica ed è ad esso in qualche modo collegato.

Il racconto autobiografico “Ferro”, ambientato immediatamente prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, parla dell’amicizia fra due studenti universitari della facoltà di chimica di Torino, l’autore e Sandro, che Primo Levi descrive come un ragazzo tenace, forte e puro, tanto da sembrargli fatto di ferro (da qui il nome del racconto). Sandro è di origine contadina, taciturno e di indole solitaria, abituato ad andare in montagna da solo, sia in estate che in inverno. Egli ha una caratteristica che lo differenzia notevolmente dall’amico, non ama le parole: «Sembrava che anche a parlare, come ad arrampicare, nessuno gli avesse insegnato; parlava come nessuno parla, diceva solo il nocciolo delle cose».

Primo Levi spiega a Sandro, studioso disincantato e poco convinto, come il «comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi» e come in ciò che studiavano vi fossero «una dignità e una maestà nuove». La chimica e la fisica costituiscono infatti un baluardo contro menzogna e vanità, essendo costruite su «idee chiare e distinte e ad ogni passo verificabili». 

Sandro però, scrive Levi, aveva «un’altra materia a cui condurmi, la pietra e il giaccio delle montagne vicine. Mi dimostrò senza fatica che non avevo le carte in regola per parlare di materia… Sapevo accendere una stufa? Guadare un torrente? Conoscevo la tormenta in quota? Il germogliare dei semi? No, e dunque anche lui aveva qualcosa di vitale da insegnarmi… Nacque un sodalizio, ed incominciò per me una stagione frenetica».  

I due si recano in montagna in ogni stagione, alla ricerca di itinerari sconosciuti o semplicemente per il gusto di essere liberi. Levi narra di un’avventura invernale nella quale si trovano a dover dormire all’addiaccio, un modo come un altro per assaggiare la carne dell’orso, come diceva Sandro. E Levi rimpiange di averne mangiata troppo poca, perché «di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi» ed è grato a Sandro per averlo condotto in imprese insensate solo in apparenza, ma che gli servirono nel proseguo della vita.

Non servirono a Sandro al contrario, non a lungo. Fu uno dei primi caduti, nel 1944, della lotta partigiana. 

Ed è alle parole, proprio quelle parole che Sandro era solito usare poco, che Levi si appella per ricordare la figura del suo amico: «Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta… Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto…».

Cultura
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mercoledì 7 Giugno 2023