Novecento e quella scaletta in bilico tra la nave e il mondo

Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino… E Novecento decide di non scendere dal piroscafo Virginian. Novecento è il personaggio che dà il nome all’omonimo libro di Alessandro Baricco, l’autore di “Oceano Mare” e di “Castelli di rabbia”. È il “pianista sull’oceano” del film di Giuseppe Tornatore che, arricchito della musica del grande Ennio Morricone, ha dato vita, in quasi tre ore, a una novantina di pagine di testo teatrale.

Di Novecento, quand’ero alle superiori, ho letto il libro e guardato il film, oltre che una rappresentazione teatrale che era stata proposta in un paese vicino al mio. Mi ha sempre affascinato, e allo stesso tempo inquietato, la sua figura e ciò che sta a significare: l’ansia della scelta. Novecento, infatti, non ha mai visto la vita al di là della nave dove è stato trovato ancora in fasce, il piroscafo Virginian, e in cui ha sempre vissuto. È su quella nave che impara a suonare il pianoforte e “impara il mondo”: è ascoltando le storie delle persone che passano attraverso il piroscafo che Novecento conosce quella realtà che non può essere circoscritta tra una prua e una poppa, quella realtà che è infinita e che tanto lo spaventa. È sempre sul Virginian che Novecento incontra Tim Tooney, un trombettista che diventa suo amico, oltre che la voce narrante della storia del “pianista sull’oceano”.

Tim, come tutti gli altri, resta sin da subito stupito dalla maestria di Novecento, che conosce alla perfezione gli ottantotto tasti del suo pianoforte e suona “da Dio”. A Jelly Roll Morton, inventore del jazz, giunge voce, sulla terraferma, che il migliore pianista del mondo si trovi in mezzo all’oceano. Ma come può essere il migliore pianista del mondo un uomo che non ha nemmeno il fegato di scendere dalla nave e di vederlo, il mondo? Jelly Roll Morton decide di sfidarlo, ma Novecento pone una condizione: la contesa – a colpi di note – si svolgerà su quella nave dalla quale lui non ha nessuna intenzione di scendere. Ovviamente, a vincere sarà Novecento. Novecento che un giorno, improvvisamente, “come quando cade un quadro”, “come quando ti svegli e smetti di amare una persona”, decide di scendere. Tim è contento per l’amico. Gli presta il suo miglior cappotto, e Novecento è pronto a partire, a vedere il mondo. Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino… E Novecento, anziché proseguire e scendere dalla nave, getta nelle acque dell’oceano il cappello che indossa, sorride, risale le scale e rientra nel piroscafo Virginian.

Confesserà a Tim il motivo di quella scelta solo a distanza di anni, quando la nave sta per essere distrutta, e Novecento sta per morire con lei, perché non ha ancora nessuna intenzione di scendere. La sua, però, più che una scelta è stata una non-scelta. Il pianista sull’oceano è spaventato dalla vastità del mondo, dalle infinite possibilità, dalle strade che si snodavano davanti a lui. Su quella scaletta, in bilico tra la nave e il mondo, Novecento vede New York, una città di cui, dice, “non si vedeva la fine”. Molto meglio rimanere all’interno di un piroscafo, dove il mondo entra, certo, ma a piccole dosi. Sulla nave, Novecento si illude di poterlo governare, quel mondo, perché vi passano un certo numero di persone, desideri e possibilità. Lui, dotato di onniscienza nel campo della musica, non riesce a sopportare l’ignoranza, tutta umana, riguardo al corso futuro della vita di ciascuno di noi.

Il suo è un esempio-limite, ma ogni volta che penso alla sua storia ricordo anche l’importanza della scelta, che Kierkegaard chiamava “l’ora della mezzanotte”. Un’ora silenziosa e piena di stelle, in cui ciascuno è solo con se stesso, in bilico tra la propria nave e il mondo.

Cultura
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lunedì 11 Novembre 2024