I fiori del male – Antonio Ligabue

Continuiamo il nostro percorso nel giardino dei “fiori del male”. La puntata di oggi sarà dedicata a un altro artista maledetto, questa volta non nel campo della musica ma in quello dell’arte figurativa: parleremo di Antonio Ligabue, il pittore emarginato.

All’anagrafe Antonio Costa, Ligabue nasce a Zurigo, in Svizzera, il 18 dicembre 1899. La madre, Maria Elisabetta Costa, lo partorisce presso l’Ospedale delle donne, una struttura che ospita prevalentemente ragazze madri. Come tante altre giovani, era giunta in Svizzera in cerca di fortuna, per fuggire dalla povertà del bellunese. Quando sposò Bonfiglio Laccabue, questi riconobbe Antonio come figlio, dandogli il cognome che però l’artista decise poi di modificare in Ligabue.

Come è facile immaginare già da questi primi dettagli, l’infanzia di “Toni” non fu certo una passeggiata. Anzi, la povertà della famiglia era tale che fin dalla più tenera età il piccolo venne affidato ad una coppia di svizzeri di lingua tedesca. Il bambino però manifestò presto un grave disagio, caratterizzato da un ostinato silenzio che spesso sfociava in violente crisi nervose. Incapaci di gestire i comportamenti del giovane Ligabue, la coppia che lo aveva in affidamento decise di consegnarlo a istituti di cura. Tuttavia, venne espulso diverse volte a causa di comportamenti violenti, verso gli altri ma soprattutto verso sé stesso. Oltretutto, a causa della carenza di nutrimento nei primi anni di vita, Antonio fu presto vittima di gravi malformazioni fisiche: ciò compromise irrimediabilmente il suo sviluppo, causandogli malattie come rachitismo e gozzo.

La violenza raggiunse livelli tali da costringere la Svizzera a espellere Ligabue, il quale andò a vivere a Gualtieri, paese in provincia di Reggio Emilia e patria del padre adottivo. Si guadagnava da vivere facendo il manovale sul Po e, a volte, eseguiva disegni su cartelloni per piccole compagnie circensi.

Nel 1927 si accorse delle sue doti lo scultore e pittore Renato Marino Mazzacurati che, fiducioso, gli insegnò le tecniche della pittura. Antonio Ligabue divenne così capace di trasformare i propri demoni in dipinti, creando opere potenti, istintive e selvagge, dall’immediato impatto visivo. Spesso si trattava di animali in procinto di lanciarsi sulla preda, o in lotta tra loro. Altro tema frequente è l’autoritratto, che colpisce per la profondità dello sguardo con cui Ligabue si rappresenta.

Oltre che pittore, è stato anche un bravissimo scultore: creava le sue opere con l’argilla del Po, che masticava per renderla malleabile. Le prime opere purtroppo sono andate perdute, perché l’artista non era solito sottoporle al processo di cottura che le avrebbe rese più resistenti. Oggi, da molte delle sue opere sono state ottenute fusioni in bronzo, per preservarle dal tempo.

Nonostante il successo ottenuto nel 1961 con una grande personale alla Galleria La Barcaccia di Roma (che conquistò i critici e che lo rese noto al pubblico internazionale), l’infelicità dell’artista è racchiusa nella frase “dam un bes (dammi un bacio)”: una richiesta che ripeteva a ogni donna che incontrava e che celava un bisogno di amore genuino che il successo, i soldi e il talento non erano riusciti a colmare.

Cultura
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venerdì 7 Febbraio 2025