Giacomo, il coraggio di Matteotti al Pergine Festival
Di solito si sente Giacomo e subito si immagina Leopardi, ma lo spettacolo andato in scena mercoledì 6 luglio nell’ex rimessa carrozze di Pergine per il “Pergine Festival” ha messo al centro la figura di uno dei politici e giornalisti antifascisti più noti, Matteotti.
Il Teatro dei Borgia e Artisti Associati Gorizia hanno portato in scena due discorsi di Giacomo Matteotti interpretati magistralmente da Elena Cotugno. Le parole sono quelle pronunciate in Parlamento dal politico e giornalista, che coraggiosamente si scagliò contro il fascismo ma anche contro Giolitti e i liberali, colpevoli di silenzio.
La scena – un unico atto in due tempi – si è aperta con la seduta del 31 gennaio 1921. Gli scranni creati dalla sceneggiatura di Filippo Sarcinelli danno l’idea di un’Italia che, come una nave, sta affondando per l’imperversare della violenza ma anche per il silenzio che impedisce di gridare la verità.
Matteotti, nel 1921, denuncia il ruolo della stampa, che descrive come “un conflitto tra fascisti e socialisti con tre socialisti e un fascista feriti” quella che in realtà è “un’aggressione fascista ai danni dei socialisti”. Con coraggio Matteotti chiede alla società di “dire di sì” a gran voce al fascismo piuttosto che avallarlo con un silenzio connivente. Al contrario, pur condannando apertamente – lui sì – il fascismo, gli attribuisce il coraggio di esporsi. Di fronte al silenzio dei liberali, Matteotti chiede loro di “attribuirsi la paternità di questo gruppo extraparlamentare” che si sta muovendo nei gangli della società italiana.
Il politico ammette e si prende la responsabilità della violenza commessa dai Movimenti proletari nei primi anni Venti. “Una violenza che va prevenuta con l’educazione”, sostiene, ma che, diversamente da quella dei fasci agrari, non è organizzata. Denunciando l’assalto alla Camera del Lavoro di Modena, Matteotti spiega “io non accuso, racconto” e chiede: “È dunque una burla lo Stato democratico?”.
La scena non si chiude, ed Elena Cotugno continua a interpretare Matteotti intonando la canzone Padrone mio, tratta da una melodia popolare probabilmente di origini siciliane del Novecento. Un brano che narra la disperazione dei braccianti che, piuttosto di essere licenziati, chiedono di essere bastonati. E poi, ancora, quasi in risposta, intona l’Inno dei lavoratori di Filippo Turati. La scena si chiude con il discorso in Parlamento del 30 maggio 1924, quando Giacomo Matteotti, poco prima di essere rapito e ucciso per ordine di Benito Mussolini, denuncia la validità delle elezioni. Il clamore che si leva tra gli scranni dei fascisti porta Matteotti a dire che “non comprendo come i fatti, senza ingiurie e senza accuse, sollevino un tale putiferio”.
Un pezzo di teatro civile che accende i riflettori sulla persona di Matteotti. “Il suo spirito del tempo – spiegano Gianpietro Borgia ed Elena Cotugno -, gli effetti della relazione tra le sue parole e l’Italia, è un po’ quello che ha il Grillo Parlante in Pinocchio. È uno che non apparteneva a una ‘chiesa’, in termini ampi, e senza questa appartenenza in Italia non si può essere considerati eroi; è un portatore di pensiero critico in un momento in cui questo andava morendo e per questo è morto”.
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martedì 12 Novembre 2024