Genio e semplicità

«La semplicità è la cosa più difficile da ottenere a questo mondo; è l’estremo limite dell’esperienza e l’ultimo sforzo del genio.» (George Sand)

Semplicità non è forse sinonimo di Clint Eastwood? Quando si dedicava unicamente alla recitazione si diceva avesse solo due espressioni: con il sigaro e senza sigaro. Eppure gli Spaghetti Western non sarebbero la stessa cosa senza di lui, senza il suo poncho, i suoi occhi di ghiaccio, il suo carisma, senza la sua folgorante presenza. E la sua carriera da regista, famoso per il “Buona la prima”, non è forse basata sull’estrema semplicità anch’essa? Non vi sono orpelli nelle sue pellicole. Nessun ornamento inutile, nessuna scenografia ingombrante e nessuna interpretazione teatrale.

Persino in un film come Gran Torino, che già dal titolo pone l’accento su un oggetto di scena, questa Ford datata 1972 assume una connotazione nostalgica, profondamente umana. Rappresenta per il protagonista, Walt Kowalski, il suo periodo di coronamento del sogno americano, prima di avere per vicini di casa degli Hmong rifugiatisi in America per scappare alle persecuzioni comuniste in Laos. Nel momento in cui Walt, suo malgrado, si ritrova coinvolto negli affari di questa famiglia e percorre l’esigua distanza che lo separa dalla loro abitazione, viene catapultato a mille miglia, in una cultura che non conosce e che non comprende. Ma si vedrà costretto a mettere da parte i pregiudizi e il razzismo, nel momento in cui si renderà conto di avere più cose in comune con questi “mangiacani” che con i suoi stessi parenti. Alla fine, aiutare questa famiglia lo porterà a dare nuovamente uno scopo alla sua disincantata esistenza, un tanto agognato significato. Così, anche il semplice gesto di estrarre l’accendino dalla tasca, diventa metafora visiva, esterna e tangibile della metamorfosi interiore subita dal protagonista. Da connotazione negativa e frustrante (la finta di prendere un’arma) a connotazione positiva e catartica (l’accendino in grado di innescare il cambiamento). Perché la genialità è questo: filmare delle immagini che restano impresse negli occhi dello spettatore, espressioni eloquenti, emozioni vivide, personaggi sfaccettati, mai banali. Come l’odiosa giornalista Kathy Scruggs di Richard Jewell, ambiziosa carrierista pronta a tutto, finché il senso di colpa per aver rovinato la vita di una persona non bussa alla sua porta.

I lungometraggi di Clint Eastwood non sono mai tutti bianchi o tutti neri, sono a scale di grigi, semplicemente perché il mondo è a scale di grigi. Cosa c’è di più interessante, di più vero, di più vivo della realtà? In ogni suo film Eastwood sembra volerci dire che la realtà è già sufficientemente complessa di suo e per questo va raccontata in modo semplice. Se lo si fa con una regia lineare ed empatica, si può trattare qualsiasi tema, persino l’eutanasia, senza offendere la sensibilità altrui o cadere nella trappola dei luoghi comuni.

Nel 2009 rilasciò un’intervista nella quale disse: «Cerco una storia che abbia un messaggio ma spero anche sia un intrattenimento, che trasmetta emozioni agli spettatori, che siano tragiche o divertenti. […] A 78 anni, non sarei soddisfatto se ogni giorno non potessi imparare qualcosa di nuovo». Ora che ne ha 90 ci auguriamo che abbia ancora voglia di imparare insieme a noi.

Cultura

I vostri commenti all'articolo

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  1. Enzo

    Scrivi qui il tuo commento… L’articolo delinea in modo documentato, puntuale ed efficace, la figura di un grande artista del cinema. Mi complimento con l’Autrice.

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domenica 8 Settembre 2024